venerdì 3 maggio 2024
Si riaccende, anche grazie alla campagna di Avvenire, il confronto politico sulla riforma dei criteri per diventare cittadini italiani. Le opposizioni in pressing, ma la maggioranza è ancora fredda.
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undefined - ANSA/LUCA ZENNARO

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Il confronto politico sulla necessità di una riforma della legge sulla cittadinanza, modificata ben trentadue anni fa, è un po’ come l’araba fenice: ogni volta rinasce dalle proprie ceneri. Così, quando si tende a pensare che il fuoco della discussione fra le forze politiche sia spento e le braci ormai fredde, ecco che in Parlamento la discussione - tenuta viva in questi mesi anche dagli approfondimenti giornalistici di Avvenire - pare sul punto di potersi riaccendere, a partire dalle proposte di legge ancora giacenti. Da almeno tre lustri, in Parlamento si assiste a una lunga sequela di stop and go, con cambi di visione e denominazione (ius soli, ius scholae, ius culturae), ma senza coronare gli sforzi con una legge. Per capire quale possa essere ora il nuovo punto di ripartenza, bisogna riavvolgere la pellicola fino a sei anni fa quando, in zona Cesarini della XVII legislatura, la Camera dei deputati approvò un testo unificato (elaborato sulla sintesi di una ventina di proposte di legge) che prevedeva una prima introduzione dello ius soli e una nuova forma di acquisto della cittadinanza a seguito di un percorso scolastico. Quel provvedimento non completò l’iter al Senato, perché la legislatura si concluse e la maggioranza che sosteneva a quell’epoca il governo Gentiloni non ritenne di includere il testo nella corsia preferenziale.

«Fu il momento in cui arrivammo più vicini all’obiettivo - ragiona il deputato del Pd Matteo Orfini -. Quel provvedimento era frutto di un lavoro approfondito, ma rimase fermo nel secondo ramo del Parlamento. Penso che valga la pena di riprendere in mano la battaglia, lo dobbiamo a centinaia di migliaia di ragazzi e bambini che hanno tutto il diritto di essere formalmente italiani, non solo di sentirsi tali, senza subire discriminazioni». Per coerenza, Orfini ha ripresentato nell’attuale legislatura una proposta di legge. E così hanno fatto altri esponenti delle opposizioni, firmando ulteriori pdl o - come nel caso della dem Laura Boldrini - «riesumando un testo di iniziativa popolare, finito in un cassetto». Il risultato è un ventaglio di proposte, ciascuna con le sue sfumature, che attendono il momento buono per essere discusse. Sul versante opposto, invece, il tema non viene visto come una «priorità», spiegano fonti di maggioranza, nonostante alcune forze - compreso il partito della premier, Fratelli d’Italia - abbiano comunque elaborato sul punto delle proprie valutazioni.

Il pressing delle opposizioni

Come detto, fra i dem sono in diversi a caldeggiare un ritorno, nel dibattito parlamentare, della riforma della cittadinanza. Una è Laura Boldrini: «Ovviamente i numeri in Parlamento non sono dalla nostra parte e non nutriamo grandi speranze che la destra si ravveda - argomenta -, ma noi del Pd questo tema non vogliamo abbandonarlo, anche nella consapevolezza del fatto che l’opinione pubblica sia in maggioranza convinta della necessità di un cambiamento». Considerazioni più volte ribadite dalla stessa Elly Schlein: «Si tratta di una battaglia giusta, di civiltà, perché chi nasce o cresce in Italia è italiano o italiana e nessuno può togliergli questo diritto - ripete da tempo la segretaria dem -. Io l’ho sempre chiamato Ius soli, ma ragioniamo pure se si debba cambiare nome. Per noi, la forma più ampia e coraggiosa possibile è quella che il Pd deve sostenere». Pure Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato una proposta, con la deputata Luana Zanella attenta a seguire l’evolversi della situazione: «Il nostro testo prevede che possa acquistare su richiesta la cittadinanza italiana il minore straniero nato in Italia, o che sia arrivato qui entro i 12 anni, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia per 5 anni e abbia frequentato regolarmente uno o più cicli scolastici del sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale», spiega lei stessa. Poi aggiunge: «Abbiamo contenuto la proposta entro quest’ambito, nella speranza di trovare un concreto punto di mediazione con la maggioranza, perché è insopportabile che i ragazzini figli di non italiani siano esclusi di fatto dalle nostre comunità per motivi burocratici o perché la politica non ha avuto il coraggio di far avanzare le norme, adeguandole al nostro tempo».

Le valutazioni di Fdi

Va da sé che, per avere una ragionevole speranza di poter diventare legge, qualsiasi proposta debba poter contare su una maggioranza di voti in entrambe le Camere. Nel campo del centrodestra di governo, tuttavia, non pare esserci particolare «urgenza» nell’affrontare la questione. «Sul fronte dell’integrazione e delle problematiche delle seconde generazioni di immigrati, al momento ci sono altre emergenze da affrontare, sul piano legislativo e nell’azione di governo», dice la deputata Sara Kelany, responsabile Immigrazione di Fdi. Ma se il tema salisse nell’agenda parlamentare, sareste disponibili a un confronto concreto? «Il problema è che la sinistra ne fa un cavallo di Troia per introdurre nell’ordinamento uno ius soli “mascherato” - osserva Kelany - cosa per noi inconcepibile. Ogni volta che abbiamo ragionato su proposte, il Pd ha fatto così». Nel merito «noi non siamo contrari a una valorizzazione dei percorsi scolastici, ricordo che la premier Meloni fu la prima a parlarne, quando era ministro della Gioventù» (fra il 2008 e il 2011, quarto governo Berlusconi), considera Kelany, «ma per noi il ciclo scolastico necessario deve essere di 10 anni, perché coincide con la durata dell’istruzione obbligatoria fissata per legge». Insomma, fra maggioranza e opposizione, le posizioni sono ancora distanti. Ma il dibattito, forse, sta ricominciando.

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