mercoledì 1 maggio 2024
Raccolti in un libro, i discorsi, gli interventi pubblici e privati, i post del dissidente russo svelano un inatteso percorso di fede, che innerva progressivamente la sua visione umana e politica
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Ha incarnato la resistenza e l’opposizione a Vladimir Putin. Ha acceso i riflettori sulla repressione politica e la corruzione in Russia. E ha pagato con la sua vita. Parliamo di Alexeij Navalny, avvelenato nel 2020, rientrato in Russia nel 2021 e subito imprigionato, deceduto nel febbraio scorso in una colonia penale nell’Artico russo dopo 300 giorni di cella d’isolamento. Una morte, questa del “Premio Sacharov per la libertà di pensiero” nel 2021, che ha sollevato dubbi e accuse al regime, anche se giorni fa agenzie di intelligence statunitensi hanno escluso ordini o responsabilità dirette del presidente russo. Di Alexeij Navalny, a cura di Adriano Dell’Asta e Marta Carletti Dell’Asta, esce oggi “in prima edizione mondiale” Io non ho paura, non abbiatene neanche voi (Scholé, pagine 236, euro 19), una raccolta di scritti relativi soprattutto all’ultimo decennio, stilati dall’uomo che «voleva essere un politico ed è stato un dissidente». Così Adriano Dell’Asta, docente di lingua e letteratura russa in Cattolica e già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Mosca, titola le sue pagine introduttive.

Si tratta di riflessioni pubbliche e private, interventi pronunciati nei processi-farsa subiti, post pubblicati sui social dopo i divieti di manifestazioni in piazza, interviste rilasciate a testate internazionali, messaggi indirizzati dalla prigione alla moglie Julija e al figlio Zachar (ma è ricordata pure la figlia Dasha) o ad amici come il giornalista Sergej Parchomenko. Tessere di un mosaico che lascia vedere la maturazione politica e spirituale di Navalny: aiutando a capire chi fosse e cosa volesse. Un percorso che da iniziali posizioni nazionaliste e xenofobe approda alle battaglie per la democrazia liberale, inizialmente non senza contraddizioni, poi contrassegnate da un tenace impegno contro la vergogna di un sistema di potere dove, denunciava, «l’83% delle risorse nazionali appartiene allo 0,5% della popolazione». Sino agli ultimi drammatici anni, lungo i quali si staglia una figura di dissidente “di classe” per usare la definizione di Natan Ščaranskij: pronto a tornare a Mosca – era il gennaio 2021 – pur sapendo che lo attendeva l’arresto immediato; a subire ogni sofferenza nelle carceri del suo Paese; a morire per la coerenza con la sua coscienza, per lasciar trionfare la verità e la libertà, contro la paura e l’odio alimentati dal regime.

Quest’antologia, però, non lascia emergere solo lo spessore umano e politico che, specialmente dal 2012 in poi, si palesa nei testi scelti (riguardanti i processi “Kirovles” o “Yves Rocher”, la morte di Gorbacëv destinatario di un tardivo omaggio, la questione della Crimea o la guerra in Ucraina, la detenzione con unico conforto letture di classici come Čechov, ecc.), ma anche l’esplicita ispirazione religiosa che progressivamente li innerva. «Sono un tipico credente post-sovietico, e non ne vado fiero…”» così Navalny. Intervistato da Boris Akunin quand’era ancora un politico quasi esordiente il 4 gennaio 2012 (si veda lo scritto in questa pagina che segna quasi il momento di una svolta). «Pensateci bene: è la festa della cosa più importante che ci sia. La festa dell’inevitabile trionfo del Bene sul male. La festa della speranza. La festa della fede in un futuro migliore. Contro che cosa si era battuto il Signore? Contro la menzogna, l’ipocrisia, la schiavitù, l’ingiustizia, l’usurpazione del potere da parte di delinquenti e ladri. Contro tutto quello che maggiormente ci disgusta [...]. E fu molto dura per Lui. […]. Lui stesso fu torturato e ucciso [...]. Cosa sono tutte le nostre “difficoltà” e i nostri “problemi” in confronto a ciò che ha dovuto provare Lui?». Così scrisse sul suo blog per la Pasqua ortodossa del 2014. E per quella del 2023, la sua ultima, sottolineò: «Questo giorno ci ricorda che non si può disperare, e per quanto sia faticoso, verrà il giorno in cui il male sarà sconfitto e gli uomini di nuovo gli diranno ridendo: “E allora morte, dov’è il tuo pungiglione; inferno, dov’è la tua vittoria?” Auguri!».

Citando il sermone di Giovanni Crisostomo (che riprende 1Cor 15,55), Navalny svela il senso del suo agire fondato non sulla logica della politica, ma della fede, per la quale dalla sconfitta apparentemente più radicale nasce la vittoria definitiva. Ma non è tutto. Verità e giustizia per Navalny, come per la filosofia religiosa russa prerivoluzionaria, sono sempre accompagnate dalla bellezza, un tema sul quale torna più volte ancorandolo al suo impegno. Per lui, osserva Dell’Asta, «occorre rendere bella la vita deturpata dal potere: e la Russia del futuro sarà “bellissima”, secondo una convinzione nella quale si rende sempre più evidente il carattere non politico di ciò che nello stesso tempo è più radicalmente politico e più intollerabile per Putin e i suoi».

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