I tanti effetti collaterali delle scorciatoie digitali
venerdì 17 maggio 2024
A noi esseri umani sono sempre piaciute le scorciatoie. Perché sono la strada più breve per arrivare da un punto all’altro ma soprattutto perché sono il mezzo più rapido e sbrigativo per raggiungere un determinato scopo. Ognuno ha le sue preferite. Nel digitale le scorciatoie non sono mai state così di moda. Ci sono quelle (utilissime) che, per esempio, attraverso app e programmi ci fanno risparmiare tempo e quelle che ci promettono meraviglie ma portano con sé una certa dose di “effetti collaterali”. Partiamo da una delle più semplici: usare sistemi di intelligenza artificiale per fare i compiti di scuola. A dare retta a una ricerca, condotta da TGM Research per conto di NoPlagio, «nelle scuole italiane, la usa il 60% dei ragazzi dai 16 ai 18 anni». Anche i sondaggi e le ricerche, a ben vedere, sono una bella scorciatoia. Ci “svelano” fette del mondo, interrogandone un campione. In questo caso (forse) questo dato metterà in allarme qualche insegnante e qualche genitore. I quali si chiederanno: se i compiti nel 60% dei casi li fa una macchina, serve ancora darli? Ma soprattutto: serve ancora (è solo un esempio) dare come compito una ricerca o una traduzione se poi a farla è una macchina e non lo studente? E qui si apre un mondo. Se da una parte non posso che complimentarmi con ragazzi sedicenni che sanno già usare bene sistemi come ChatGPT (ammesso che davvero li usino bene), a un gruppo di insegnanti preoccupati che mi chiedevano cosa fare, ho risposto: dite ai ragazzi la verità. La più banale è che, almeno per ora, le intelligenze artificiali a volte sbagliano (e anche abbastanza di frequente). E quindi non ci si può fidare di loro al 100%. Ma soprattutto che un conto è fare i furbi in un compito e un altro uscire dalle scuole superiori con gravi lacune. Perché nel mondo del lavoro per quelle non ci sono scorciatoie e non ci sono intelligenze artificiali che tengano. In realtà il problema degli effetti collaterali delle scorciatoie (digitali e non) che sempre più spesso usiamo riguarda tutti e tutti i campi. Prendete l’informazione. Ormai ci siamo abituati a pretendere articoli sempre più corti, sempre meno impegnativi e sempre più sintetici. E davanti anche ai problemi più complessi, piuttosto che investire tempo per capire, scegliamo sempre più spesso chi ci offre la strada più breve. A dare retta ai dati quella più amata è fatta da un video brevissimo che promette spiegazioni e soluzioni semplici. Meglio se con frasi-slogan facili da memorizzare, così ce le rivendiamo nella pausa pranzo coi colleghi o a cena con gli amici. Anche l’avvento dell’intelligenza artificiale nelle ricerche digitali sta per regalarci nuove scorciatoie: per sapere cos’è accaduto oggi in Medio Oriente non dovremo più cliccare su un articolo, perché Google, Bing, Perplexity e presto il motore di ricerca di OpenAI (quelli di ChatGPT) ci fornirà il suo riassunto. Breve, ovviamente. E sicuramente superficiale (e magari con qualche errore), ma tanto noi andiamo di fretta e ci illudiamo che questo tipo di informazione ci basti. Perché un conto è l’IA che da bravo assistente personale, per esempio, farà per noi (e lo farà presto) tutte le pratiche per restituire un prodotto acquistato online che non vogliamo più (compreso contattare il fornitore, compilare i moduli di reso e prendere appuntamento col corriere per il ritiro) e un altro è la tecnologia che rende tutto sempre più veloce, condensato, riassunto e alla fine anche superficiale. Perché ci fa risparmiare tempo (o ci illude di farcelo risparmiare), ma a quale prezzo? Già, come facciamo a conservare e generare pensieri meditati e profondi che sappiano bilanciarsi con l’emotività imperante, se tutto ciò che facciamo nel digitale ci spinge nella direzione opposta? © riproduzione riservata
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