domenica 12 maggio 2024
Cinquant'anni fa usciva il primo volume del saggio di Aleksandr Solzenicyn su campi di lavoro forzato in Unione Sovietica. Un testo fondamentale, ricorda lo slavista Mario Corti
Aleksandr Solzenicyn riceve Il premio Cliché d'oro per il 1974 da Flaminio Piccoli

Aleksandr Solzenicyn riceve Il premio Cliché d'oro per il 1974 da Flaminio Piccoli - Fotogramma

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L’Arcipelago fu scoperto cinquant’anni fa, ma non per l’ardimento di qualche esploratore o di un capitano d’alto mare; fu grazie all’opera di uno scrittore: un grande scrittore. Il primo volume di «Arcipelago Gulag» di Aleksandr Solzenicyn uscì infatti nelle librerie italiane il 24 maggio 1974, editore Mondadori.

Mario Corti non vide subito quell’edizione perché era ancora a Mosca, con la moglie Elena Gori (anche lei slavista) e i quattro figli, ma il contenuto del testo lo conosceva molto bene: «Avevo divorato tutt’e tre i volumi in russo. Quello di Solzenicyn è uno stile particolare, faticoso, che riesuma parole rarissime e antiquate, quasi un modo artificioso di far risorgere la lingua. Ma il libro è stato una pietra miliare del dissenso antisovietico, ha dato una spallata decisiva perché anche tra gli intellettuali dell’Occidente cominciasse a cambiare l’idea dell’Urss come un paradiso».

Corti oggi ha 78 anni e vive vicino a Udine, ma nella sua movimentata esistenza è passato dall’Argentina (vi era emigrato bambino con i genitori) alla Germania, dove dal 1979 è stato responsabile della sezione Samizdat le pubblicazioni clandestine russe – di Radio Liberty, emittente finanziata dagli Stati Uniti con trasmissioni in varie lingue per i Paesi d’oltrecortina. Dal 1972 al 1975 è stato contrattista all’ambasciata italiana di Mosca, in realtà inviato dall’associazione culturale ed ecumenica Russia Cristiana – fondata tra Milano e Seriate (Bg) dai padri Romano Scalfi e Pietro Modesto – per mantenere i contatti con l’ambiente del dissenso.

«L’Arcipelago era apparso qualche mese prima in Francia, perciò gli intellettuali italiani erano preparati a riceverlo. L’accoglienza da noi è stata più che fredda: ostile; sono noti i commenti sprezzanti e i giudizi sbrigativi di maestri del pensiero come Moravia, Citati, Calvino… Peraltro Solzenicyn era già Nobel della letteratura dal 1970 e ancora prima la sua opera “Una giornata di Ivan Denisovic” era stata recensita piuttosto bene dalla cultura egemone italiana; si erano convinti che l’autore fosse un socialista... Poi i rapporti si sono raffreddati quando si capì che non si riusciva a ridurre un gigante come Solzenicyn alla visione ideologica dell’Urss quale faro mondiale del comunismo, passibile al massimo di una riforma ma intoccabile per il resto».

In quel 1974 lo scrittore era stato espulso dall’Urss e si era stabilito a Zurigo. L’anno seguente anche Mario Corti venne “consigliato” di lasciare Mosca, dove con la moglie intrattenevano ormai rapporti con tutti i maggiori leader del dissenso. «Prima di partire, però, sono stato contattato dalla suocera di Solzenicyn per fargli avere parte del suo archivio, che non aveva potuto portare con sé. Siamo riusciti a inviare cinque valigie in maniera piuttosto avventurosa e io stesso sono stato nella sua nuova residenza per consegnargliele di persona, insieme a una scatola di scacchi intagliati da detenuti politici che volevano donarglieli e al tipico salame russo. Lo scrittore aveva riprodotto in Svizzera una piccola Russia, per sé aveva fatto costruire una casetta separata nel giardino in cui ritirarsi a lavorare. In seguito per ringraziarmi mi ha mandato i primi due volumi dell’Arcipelago con la dedica».

Mario Corti ne è certo: «Quel libro è stato fondamentale. Come opera storica ha un enorme valore, anche se sottoposto alla critica scientifica vi si trovano delle imprecisioni. Noi esperti conoscevamo i fatti, ma Solzenicyn ha sistematizzato la materia. In Occidente vennero stampate edizioni russe in piccolo formato perché potessero essere diffuse clandestinamente, Radio Liberty ne fece immediatamente una lettura integrale in lingua originale e dunque l’opera giunse a una cerchia molto ampia; negli ambienti del dissenso (ma non solo) si poteva percepire il rumore fatto dall’Arcipelago. Il giudizio dei dissidenti è stato sempre molto positivo e anche ammirato, solo più tardi si sono divisi su altre posizioni di Solzenicyn, però mai sull’Arcipelago».

«Anche in Occidente, e in Italia, alla fine Solzenicyn ha vinto; molto lentamente la sua ricostruzione si è fatta strada, con un’influenza non immediata e tuttavia profonda. Dal 1977 i toni di opposizione aperta nei suoi confronti sono scemati, i miti sovietici a poco a poco sono andati crollando. Mi hanno raccontato che persino all’interno del movimento di Lotta Continua si erano formati gruppi di lettura del volume, cosa che li ha molto influenzati prima dello scioglimento... Sono davvero molti i meriti di Arcipelago Gulag».

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