giovedì 28 novembre 2013
Nel week-end a Bologna la prima edizione dell’happening voluto dalla associazione nazionale e progettato dal poeta e scrittore Davide Rondoni Che spiega la nuova avventura ispirata alla «cultura del dialogo».
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«La vita non è sola» è il titolo del primo Festival di Scienza & Vita che ho "inventato" e proposto agli amici che con me fan parte del direttivo dell’Associazione presieduta da Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, I consiglieri hanno aderito e collaborato all’idea consapevoli che su certe delicate questioni, sul senso di certe parole fondamentali dell’esistenza (nascere, figli, salute, morire, dignità) è in corso uno scontro e una confusione che riguarda tutti. Si tratta di questioni troppe volte salite dalla vita reale e concreta della gente fino alla ribalta delle polemiche mediatiche e politiche. E quindi spesso caricate di altra confusione. Insomma, si tratta di questioni che vanno direttamente a toccare il cuore, la passione, la fatica e la gioia di tante persone e che nella nostra epoca sono oggetto di riflessione ma troppo spesso occasione di scontro e di divisione. Mentre la passione che mi muove, come poeta e come uomo di cultura, è che intorno alle parole fondamentali del vivere ci si ritrovi, ognuno con storie e percorsi differenti, ma disposti a trovarne un senso sempre maggiore e più ricco e vero. Di qui l’idea di un festival che facesse incontrare scienziati, artisti, politici, filosofi intorno a tali questioni. Ma un festival, non un convegno, ovvero una occasione di condivisione di cultura, di incontro e di scoperta. Com’è noto, da tempo i festival sono – in ogni campo, dalla letteratura alla scienza – uno degli strumenti di condivisione culturale che cerca di rispondere a una domanda di senso e di orientamento che le istituzioni tradizionali (dalla scuola ai musei) faticano ad affrontare per motivi che qui sarebbe lungo esaminare, che vanno dalla struttura Stato-centrica di tali istituzioni a un deficit metodologico. Anche nel "mondo cattolico" c’è una difficoltà ad affrontare temi e cose che stanno a cuore (dal racconto del Vangelo all’approfondimento di questioni che riguardano l’aspetto antropologico) in modi che non siano accademici o retorici. Ci sono segnali diversi e belli, dal grande Meeting di Rimini ai festival sul teatro o sulla Bibbia, fino al piccolo ma significativo «Festival dell’essenziale» nato lo scorso ottobre a Roma. Del resto, i festival di cui sopra e altri, così come il nuovo Festival di Scienza & Vita, si propongono di essere non l’espressione di un "mondo" che ha certe idee e visioni ma un momento per mettere a fuoco insieme questioni importanti per tutti. Di qui l’apertura culturale, la voglia di incontrare persone e idee diverse che anche a Bologna – non a caso scelta in quanto sede della più antica università del mondo, che dà il patrocinio all’iniziativa – si incontreranno. È un segnale che arriva da parte della cultura cristiana. Perché, come ricordava Giovanni Paolo II, se la fede non diventa cultura, cioè giudizio critico sulle cose, resta come puro sentimentalismo e muore. Ma anche perché alla fine di un’epoca in cui tante ipotesi di lettura complessiva e ideologica della realtà (dal materialismo allo scientismo, dal progressivismo al razionalismo) hanno mostrato limiti e impotenze, quando non violenze e censure, la vitalità della cultura cristiana può dare un contributo a tutti coloro che cercano un modo vero e profondo di guardare all’esistenza. Per fare un festival occorrono due cose: un problema interessante, e il desiderio di incontrare. Poi vengono i problemi organizzativi. Ma in questo momento, proprio per l’epoca di cambiamento che stiamo vivendo, per i segni che i tempi ci offrono (tra i primi, questo Papa) e per l’urgenza che nei cuori è viva di avere occasioni di confronto libero e serio, proporre un festival di questo genere rientra non solo tra i compiti di un’associazione che ha lo scopo di far incontrare la Scienza e la Vita con le sue domande e problemi, ma di tutti coloro che amano il gusto di cercare il vero. È un esperimento, un piccolo gesto un po’ folle e avventuriero, ma che indica un metodo: non avere paura. Il programma porterà al festival esperti e gente normale, artisti e politici di primo piano. La scommessa, pur nei limiti di una prima edizione sperimentale, è alta. Quando si fanno queste cose non si mette a rischio soltanto il nome o la faccia. Ma, per quel che mi riguarda, l’anima. Altrimenti non sono interessanti.
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