venerdì 18 ottobre 2019
Esponenti delle forze che sostengono il governo hanno depositato un disegno di legge sulla "morte a richiesta", prima firma Monica Cirinnà (Pd), che va oltre le indicazioni della Corte costituzionale.
L'aula di Montecitorio

L'aula di Montecitorio - ANSA

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La discussione su eutanasia e suicidio assistito riprenderà alla Camera, ma tutte le forze di maggioranza hanno depositato un nuovo Ddl in Senato. Sua prima firmataria è Monica Cirinnà, accompagnata da Tommaso Cerno (Pd), Loredana De Petris (Leu), Matteo Mantero (M5S), Riccardo Nencini (Italia Viva-Psi), Paola Nugnes (Leu) e Roberto Rampi (Pd). Secondo la relazione introduttiva, il testo sarebbe «ricalcato con la massima precisione possibile sui contenuti dell’ordinanza 207/2018 della Corte Costituzionale, nell’attesa della pubblicazione del testo della sentenza pronunciata il 25 settembre 2019».
Ma, in verità, va ben oltre quanto scritto dalla Consulta, e ciò ha suscitato qualche perplessità dello stesso senatore e fondatore di Italia Viva Matteo Renzi. Nel primo articolo, la bozza modifica l’articolo 580, mitigando le pene previste per chi istiga una persona al suicidio rispetto a quelle comminabili a chi semplicemente collabora a tale ultimo atto (come già prevede il Ddl Marcucci). È però l’articolo 2 a introdurre il mutamento legislativo più rilevante, simile a quello già auspicato dal Ddl Mantero (e diametralmente opposto ai due depositati rispettivamente da Binetti e Marcucci): interviene infatti sulla legge 219/2017 – quella su consenso informato e biotestamento –, introducendo la possibilità, in determinate condizioni, di somministrare "farmaci idonei" a provocare "rapidamente e senza dolore la morte" del paziente. È proprio su queste "condizioni" che lo squarcio aperto dalla Consulta si allarga ulteriormente: il Ddl abolisce infatti la necessità che la persona richiedente sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, ritenendo sufficienti le altre tre circostanze già delineate dai giudici costituzionali: capacità del richiedente di prendere decisioni libere e consapevoli, presenza di una malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili.
Non è un aspetto secondario, questo: dal comunicato diffuso dalla Consulta, così come dalla precedente ordinanza 207/2018, appariva infatti abbastanza chiara la volontà di circoscrivere la "morte a richiesta" a un ristretto numero di casi concreti. Quelli identici o molto simili al calvario di dj Fabo, accompagnato in una clinica svizzera che eroga il suicidio assistito da Marco Cappato, il tesoriere dell’associazione radicale Luca Coscioni da cui è scaturito il procedimento arrivato fino in Consulta. Al contrario, l’eliminazione della necessità da parte del richiedente (anche) di essere assistito da trattamenti di sostegno vitale, amplia di molto il novero delle persone che potrebbero richiedere l’iniezione letale, con ciò contravvenendo a quanto precisato dalla Consulta stessa nel comunicato del 25 settembre, «per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018».
Ci sono poi ulteriori aspetti problematici, a partire dalle forme di documentazione della richiesta di morte. Sul punto, la bozza di legge nulla dice, ponendo così un ulteriore problema di tutela. E sempre in tema di protezione della vita, bene costituzionalmente tutelato, pone qualche interrogativo anche un altro comma dell’articolo 2, laddove si prevede che i trattamenti finalizzati alla morte, pur sempre consentiti «unicamente nell’ambito del Servizio sanitario nazionale», possano essere erogati anche «presso il domicilio del paziente». Ma in tali casi, chi accerta l’inesistenza di abusi? Tra i grandi nodi irrisolti, resta poi anche quello delle cure palliative in relazione alla richiesta della "morte a comando". Nell’ordinanza 207/2018 si dice che la terapia del dolore «dovrebbe costituire… un pre-requisito della scelta» (di morire); nel comunicato stampa che anticipa la sentenza pronunciata lo scorso 25 settembre, invece, si parla genericamente di «rispetto» delle norme (anche) in materia di cure palliative. E in modo ancora più fumoso, il testo Cirinnà prevede che «il paziente… deve essere adeguatamente informato della possibilità di ricorrere a tali presidi».
Non solo. Sempre nell’ordinanza, si prevede anche il parere del comitato etico e il rispetto delle norme (anche) sul consenso informato, ma il Ddl non ne parla. E a confermare quanto il testo voglia spalancare il più possibile le porte della morte, ecco l’articolo 3: una norma che estende la non punibilità per il suicidio, nelle stesse circostanze di quest’ultimo, anche ad altri reati della stessa area: omicidio volontario, omicidio del consenziente (eutanasia) e omissione di soccorso. Ben "altro" rispetto a quanto delineato dalla Corte.

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