martedì 3 giugno 2025
Al Senato la maggioranza non presenta il testo sul quale avviare la discussione. L’Associazione Coscioni raccoglie firme per l’eutanasia. La posizione della Chiesa italiana
Uno scorcio dell'aula del Senato

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Nuovo nulla di fatto in Senato per il disegno di legge sul fine vita: nella nuova riunione, il 3 giugno, del comitato ristretto per la redazione di un articolato di riferimento su cui avviare la discussione in vista dell’arrivo in aula previsto per metà luglio non è ancora stato presentato alcun testo base. Opposizioni all’attacco del centrodestra: «Ennesimo incontro del comitato ristretto sul fine vita, con presente un solo senatore di maggioranza (oltre al presidente e ai relatori), ennesima finta discussione sul nulla. La vergogna della maggioranza è infinita e senza confini»: è il severo giudizio del senatore del Pd Alfredo Bazoli, firmatario di uno dei 5 disegni di legge incardinati nelle Commissioni Giustizia e Salute.

Se risultano condivisi i primi due articoli del futuro testo base, che in sostanza ricalcano quanto indicato dalla Corte costituzionale, manca l’intesa sul resto del provvedimento da mettere nero su bianco e l’accordo sarebbe lontano anche all’interno della stessa maggioranza. È già stata fissata una nuova riunione del comitato ristretto per la prossima settimana con la rinnovata intenzione di trovare un accordo di massima. Tra i punti ancora da dirimere l’eventuale ruolo del Sistema sanitario nazionale. «Da dicembre a oggi il comitato ristretto non ha prodotto nulla, nessuno straccio di testo base per l’ostruzionismo della maggioranza. Il comitato ristretto è bloccato perché la destra non vuole nessuna legge sul fine vita» è il giudizio per Avs del senatore Tino Magni, che poi parla di un «vuoto normativo» che non c’è: sul fine vita in Italia infatti sono già in vigore due leggi, la 38 del 2010 su cure palliative e terapia del dolore e la 242 del 2019 sulle disposizioni anticipate di trattamento e la rinuncia volontaria alle cure anche se questa decisione può condurre alla morte.

Per giungere a una terza legge sulle scelte di fine vita servirà una mediazione in particolare sul coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale perché, come osservano fonti di maggioranza, ciò chiama in causa questioni spinose come l'obiezione di coscienza e la necessità di evitare il cosiddetto “business della morte”. Un'ipotesi di mediazione potrebbe essere l'intervento – caso per caso – del giudice tutelare che, acquisito il parere del comitato medico-scientifico dell’ospedale, possa dare il via libera alla morta medicalmente assistita, se sussistono le condizioni definite dalla Consulta. Altro aspetto controverso riguarda le cure palliative che dovrebbero essere la precondizione per ogni scelta del paziente, come la stessa Corte aveva indicato. Il problema è che attualmente in Italia le cure palliative non sono disponibili ovunque, per cui prima di attuare la legge si dovrebbe garantirle per tutti. Un'altra possibilità – caldeggiata anche dal presidente della Commissione Affari sociali, Francesco Zaffini di FdI – è che si mettano a disposizione per i malati che hanno fatto richiesta di morte assistita.

Mariolina Castellone (M5s) afferma che «sui nodi oggetto di discussione la nostra posizione è chiara, il percorso del fine vita deve essere gestito nel Servizio sanitario nazionale e non si può inserire l’obbligo di trattamento in percorsi di cure palliative. La maggioranza non trovi alibi, da parte nostra c’è piena disponibilità a lavorare in modo costruttivo per dare finalmente al Paese una legge di civiltà».

Intanto l’Associazione Luca Coscioni, già promotrice del referendum per legalizzare l’eutanasia poi fermato dalla Corte costituzionale, deposita il 5 giugno presso la Corte di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per ottenere lo stesso obiettivo per via parlamentare. La legge poi sarà presentata alle Camere al raggiungimento delle 50.000 firme necessarie. Protagonisti dell’iniziativa a Roma Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione, Marco Cappato, tesoriere, Matteo Mainardi, responsabile delle iniziative sul fine vita, insieme ai familiari delle persone malate che in questi anni hanno ricevuto supporto per morire tramite suicidio assistito. La proposta di legge punta ad allineare l’Italia a quelli che sono considerati Paesi modello: Olanda, Belgio, Lussemburgo e Spagna. Nei primi due a vent’anni dall’introduzione dell’eutanasia legale i casi di morte volontaria assistita dal Servizio sanitario sono ormai oltre il 5% del totale.

«A dodici anni dal primo deposito di una proposta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia, che raccolse 67.000 adesioni ma non fu mai discussa in Parlamento, l’Associazione Luca Coscioni presenta oggi una nuova proposta, che legalizza tutte le scelte di fine vita, inclusa l'eutanasia attiva. L'obiettivo della proposta – si legge in una nota dell’associazione – è disciplinare le condizioni e le procedure per richiedere assistenza sanitaria per porre fine volontariamente alla propria vita, anche con l’aiuto attivo del personale sanitario, nel rispetto della dignità umana e dell’autodeterminazione. La legge punta inoltre a superare l’attuale discriminazione tra persone malate dipendenti e non dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. Il Parlamento italiano ha lasciato cadere nel vuoto ben quattro richiami da parte della Corte costituzionale a approvare una legge sul fine vita. È evidente che i partiti italiani non hanno, da soli, la volontà o la forza di prendere una decisione. È dunque indispensabile offrire al Parlamento anche il contributo dei cittadini, anche per evitare mediazioni al ribasso sulla base di proposte di legge che ridurrebbero i diritti già previsti dalla Corte costituzionale. Per questo è importante che, alla ripresa del dibattito parlamentare sul tema il 16 luglio prossimo, sia all’ordine del giorno anche la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, affinché si avvii un dibattito serio, come quello in corso nel Regno Unito e in Francia».

Il 26 maggio parlando al Consiglio permanente della Cei il presidente dei vescovi italiani cardinale Matteo Zuppi aveva espresso «il pressante auspicio che le recenti sentenze con le quali la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta sulla vita umana al suo sorgere e nella fase conclusiva non conducano a soluzioni legislative che finiscono col ridimensionare l’infinita dignità della persona dal concepimento alla morte naturale. Uno sguardo non parziale sui diritti della persona umana in ogni fase della sua vita, e in particolare nei momenti di massima vulnerabilità, ci induce poi a ribadire in materia di fine vita quanto già espresso nella nota della Presidenza Cei il 19 febbraio, con una duplice sottolineatura: anzitutto la necessità che “si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza”; e l’invito accorato a dare “completa attuazione” alla “legge sulle cure palliative” affinché siano “garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo”. Una priorità questa significativamente fatta propria dalla stessa Consulta, che ha rinnovato il suo «stringente appello al legislatore» perché “dia corso a un adeguato sviluppo delle reti di cure palliative” e a “una effettiva presa in carico da parte del sistema sanitario e sociosanitario” di “chi versa in situazioni di grave sofferenza”. La Chiesa – aveva aggiunto Zuppi – avverte il dovere di annunciare in ogni tempo il “Vangelo della vita” che “sta al cuore del messaggio di Gesù”, come scriveva san Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae della quale abbiamo appena ricordato il trentennale».

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