
Una scatoletta blu, poco più grande del palmo di una mano. Al suo interno un disco dorato racconta una vita di ricerca ostinata e raffigura la faccia barbuta di Alfred Nobel. «Ve l’ho portato così vedete com’è, visto che un giorno toccherà a voi» dice Katalin Karikó, vincitrice del Nobel per la Medicina 2023, ai ricercatori dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Lunedì 26 maggio ha tenuto per loro un seminario sullo sviluppo di terapie basate su mRna. L’mRna (Rna messaggero) è una molecola che trasporta le istruzioni genetiche del Dna fino ai ribosomi, dove vengono prodotte le proteine necessarie alla vita. Karikó ha dedicato la sua carriera allo studio di questa molecola e, insieme a Drew Weissman, ha sviluppato una tecnologia per modificarla adattandola all’uso medico.

Katalin Karikò - Alessia Giuliani / Cpp
Questa scoperta ha permesso di realizzare i vaccini a mRna, fondamentali per la risposta al coronavirus, che insegnano al corpo a riconoscere il virus e a stimolare una risposta immunitaria senza esporlo al patogeno vivo. Le potenzialità della scoperta di Karikó vanno però ben oltre il Covid: «Ora in tutto il mondo sono in corso 150 sperimentazioni di usi dell’mRna, l’utilizzo va dalla ricerca di un vaccino per i tumori, alle malattie infettive (malaria, tubercolosi) fino a patologie autoimmuni, come il lupus, o genetiche, come la fibrosi cistica» spiega la biochimica ungherese naturalizzata americana. La prospettiva è realizzare vaccini personalizzati che modificano la reazione alla malattia nelle cellule segnando il percorso per una medicina più rapida e mirata. Karikó, illustrando i passi professionali che l’hanno portata fino al Nobel, racconta una visione, un modo di fare ricerca e creare comunità scientifica dove la condivisione è la regola aurea. «Quando leggo uno studio su qualcosa a cui sto lavorando sono entusiasta: posso scoprire nuove cose su quell’argomento, evitare certi test, focalizzarmi su un altro aspetto. Non è una gara in cui vince chi arriva primo». Non è neanche una strada in cui vince chi procede da solo: per ogni svolta nei suoi studi la scienziata nomina il collega con cui ha condiviso la ricerca.
Pragmatismo e mediazione le hanno permesso di superare le difficoltà di una carriera costellata di ostacoli, come le borse di studio rifiutate: «Quando mi è accaduto di essere licenziata ho concentrato le mie energie su una sola domanda: e adesso? Che cosa posso fare?». Ripercorrendo il suo itinerario professionale, Karikó sottolinea l’importanza per i ricercatori di uscire dal laboratorio e spiegare i loro studi: « La sfiducia attuale nella scienza è dovuta al fatto che le persone non hanno capito su cosa lavoriamo. Dobbiamo usare un linguaggio semplice e farci aiutare dai giornalisti per informare». Come esempio prende il caso della Drosophila, moscerini della frutta, su cui sono stati investiti milioni di dollari negli anni. «Sui social si dice che cerchiamo di far vivere più a lungo i moscerini, invece è un modello genetico prezioso per studiare gli effetti di nuove terapie, ma non siamo riusciti a comunicarlo. E quindi, oggi più che mai, dobbiamo lavorare su questo aspetto». Karikó ha esortato i giovani scienziati a non smettere mai di informarsi e a uscire dal pensiero rigido. « Ai miei tempi per imparare ho dovuto trasferirmi in America, ci si scambiava le lettere per condividere le scoperte. Oggi esistono enormi archivi “open access”, su Youtube ci sono conferenze e corsi, si può addirittura avere accesso al programma di studi di tutte le università, e scoprire quali sono i professori e i manuali».