martedì 18 luglio 2017
L'esperta di neurofisiopatologia del Policlinico Gemelli: se il danno cerebrale fosse stato gravissimo, sarebbe già morto. In ogni caso quantificarlo in queste condizioni è veramente difficile
Serenella Servidei

Serenella Servidei

COMMENTA E CONDIVIDI

«Nelle malattie mitocondriali non è possibile prevedere secondo i parametri che si applicano normalmente ad altre patologie quale sarà con precisione l’evoluzione». Per chi, come Serenella Servidei, direttore del Servizio di Neurofisiopatologia del Policlinico Gemelli di Roma, bambini con patologie simili a quella di Charlie ne conosce a decine, il punto della questione sta proprio qui: «Le malattie mitocondriali sono rarissime e quella di Charlie è ancora più rara. Quindi, non esistendo una storia naturale per la sua patologia, è difficile esprimere una prognosi precisa».

Neanche i medici possono sapere come evolverà?
È esperienza di molti genitori, ma anche di pazienti adulti, che una prognosi venga totalmente smentita sia nel bene che nel male. Ci sono casi molto gravi con una letalità entro i primi mesi di vita, ma anche casi con sopravvivenza a due-tre anni, o addirittura ancora più lievi. Altri, un po’ diversi, si manifestano nella vita adulta. La forma di Charlie è la più aggressiva perché è legata a 2 mutazioni, una proviene dalla mamma e una dal padre. Questo porta un danno importante alla sintesi del Dna mitocondriale.

Con quali conseguenze?
Ci sono forme che compromettono soltanto il muscolo, altre il cervello, il fegato. Quello che è difficile capire nel caso di Charlie, non conoscendo tra l’altro la sua cartella clinica, è l’entità del danno neurologico. Molti di noi hanno dei dubbi che sia così grave…

Cosa intende dire?
Se il danno cerebrale fosse stato gravissimo, il bimbo sarebbe già morto. In ogni caso, quantificare il danno di un bambino che non si muove, quindi non ha la capacità motoria di esprimersi, è difficile.

Le sue capacità vitali non dipendono dal fatto che sia intubato?
Charlie ha un tubo che attraversa la trachea e lo aiuta a respirare. Ma il suo cuore funziona, se è arrivato a 11 mesi. Se avesse avuto delle problematiche serie di altro tipo, come la dialisi, una insufficienza renale, la cardiopatia, non sarebbe sopravvissuto 8 mesi. I bambini con le malattie mitocondriali, oltre a problemi di muscolo, hanno anche crisi metaboliche, a volte talmente gravi che non sono contrastabili, anche con i respiratori e con la terapia intensiva più esperta.

Per i medici del Gosh il bambino starebbe soffrendo.
Un bambino che è attaccato al respiratore, immagino sia anche sedato. Quando sostengono che possa soffrire, credo si riferiscano ad una sofferenza globale. Nella loro opinione, probabilmente la qualità della vita di Charlie è scarsa.

Ma trasferirlo in un altro ospedale o a casa potrebbe provocargli sofferenza?
Ripeto, è difficile dire che lui soffra, esistono proprio per questo i farmaci sedativi. In realtà, in un probabile trasferimento all’estero, bisogna solo spostare Charlie e un respiratore. Certo, bisogna farlo in aerei attrezzati, con gli anestesisti. Non è un percorso facile, però sicuramente possibile.

Secondo il ricercatore americano che ha messo a punto la cura sperimentale, le possibilità di miglioramento sarebbero circa del 10 per cento…
Purtroppo è stato perso molto tempo per problematiche legali. Questa terapia era stata proposta già mesi fa. Il farmaco è in corso di prova in altri bambini che hanno una patologia simile a quella di Charlie, con un meccanismo simile, ma con gene diverso. Ora si sono aggiunte delle evidenze su modelli murini che questa sostanza passa la barriera emato-encefalica, quindi potrebbe migliorare anche un eventuale danno cerebrale. E’ una terapia relativamente semplice, non invasiva. Penso sia un tentativo che vada fatto.

Per questi casi, qual è di prassi l’approccio terapeutico?
Se il piccolo sta male e capita in un ospedale che non si occupa di queste patologie, in genere è cura delle stesse strutture sanitarie avviarlo in centri specializzati. Certo, piuttosto che lasciarlo attaccato a un tubo per 8 mesi, si effettua la tracheotomia, che permette di mettere un respiratore piccolo, compatibile e anche portatile, se le condizioni generali vanno bene. Il rapporto conflittuale con i medici non dovrebbe mai esserci, insieme ai genitori si deve concordare una via per affrontare la malattia. Per questi bimbi il tempo è prezioso, bisogna intervenire subito.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: