mercoledì 25 gennaio 2017
Sentenza della Cassazione sul riconoscimento biologico delle origini. La legge, approvata alla Camera il 18 giugno 2015, è ferma in commissione Giustizia del Senato
«Lecito cercare la madre ai figli non riconosciuti»
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Conoscere le proprie origini, scoprire il volto della propria madre e, possibilmente, del padre, fare luce nel buio della memoria per rimettere a posto i tasselli dell’identità personale, è un diritto che va riconosciuto ad ogni persona. In particolare a quei figli maggiorenni non riconosciuti alla nascita e la cui madre ha preferito mantenere l’anonimato. Ieri la Cassazione ha pronunciato sul tema la parola definitiva. Dopo aver compiuto 25 anni, il figlio che intende ritrovare la madre per verificare se, dopo tanto tempo la donna intenda tornare sulle proprie decisioni e cancellare il veto legittimamente posto alla nascita, può rivolgersi al competente Tribunale dei minorenni e veder accolta la propria richiesta. Una sentenza a Sezioni unite – vista «la particolare rilevanza della questione» – che ancora una volta scavalca il Parlamento e indirizza il legislatore. La legge sul riconoscimento biologico delle origini, dopo una lungo confronto tra posizioni culturali apparentemente inconciliabili – contrarie in particolare alcune associazioni di famiglie adottive – è stata approvata dalla Camera il 18 giugno 2015. Ma, anche per quel primo passaggio parlamentare, era stata necessaria una spinta della magistratura. Nel novembre 2013 era stata infatti la Consulta a dichiarare incostituzionale l’articolo 28, comma 7, della legge 184, quella che garantisce il parto in anonimato. E la Consulta, a sua volta, aveva ripreso un pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2012, che aveva sollecitato l’Italia a rivedere i diritti di tutela delle cosiddette "madri segrete".
Oggi la legge italiana – che prevede comunque "procedure di interpello" con modalità impronte alla riservatezza e al rispetto della volontà della madre a cui spetta in ogni caso l’ultima parola – è impantanata in commissione Giustizia del Senato e, per quanto già calendarizzata, non riesce a decollare. La relatrice, Monica Cirinnà, ha promesso tempi celeri per la discussione e per l’approvazione. Ora, la sentenza della Cassazione, traccia una strada definitiva. I supremi giudici sono intervenuti «nel perdurante silenzio del legislatore», su una sentenza della Corte d’appello di Milano che aveva negato la possibilità di interpellare una madre. In attesa dell’approvazione definitiva della legge, nonostante la norma votata alla Camera non si prestasse ad equivoci, i tribunali italiani erano divisi. In particolare – come si legge nella sentenza depositata – del tutto contrari alla possibilità di verificare la volontà delle madri, i giudici minorili di Milano, Catania, Brescia, Salerno e Bari. Favorevoli invece Trieste, Trento, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Bologna, Taranto, oltre alla Corte d’appello di Catania. Anzi, tutti questi tribunali hanno già avviato procedure di verifica che hanno permesso ad alcune decine di persone di ritrovare e riabbracciare la propria madre e, in alcuni casi, entrambi i genitori. «Ma si tratta di casi sporadici – fa notare Anna Arecchia, presidente dell’Associazione per il riconoscimento delle origini – perché l’incertezza della legge e le diverse posizioni dei tribunali, scoraggiavano la maggior parte di chi era intenzionato a ricomporre i cocci della propria storia». Dal dopoguerra a oggi le persone non riconosciute alla nascita sono circa 400mila di cui, secondo le stime del Comitato, almeno il 10 per cento potenzialmente interessato a ricostruire il proprio passato. D’ora in poi sarà possibile.

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