mercoledì 21 giugno 2017
Tanti sono i bambini nati nel 2016 grazie al sostegno solidale dei volontari nei 349 Cav di tutta Italia al fianco di madri che stavano considerando la scelta drammatica dell'aborto.
Le 8.301 nuove culle dei Centri aiuto alla vita
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Se su 1.265 donne incerte o intenzionate ad abortire, ben 955 (ossia il 75%) hanno poi dato alla luce il bambino grazie a un supporto psicologico, morale, ma anche a un aiuto economico, allora la strada per combattere l’aborto, e in qualche modo anche la denatalità del nostro Paese, non è poi così difficile. I dati presentati alla Camera dei Deputati alla conferenza stampa sull’attività svolta nel 2016 dai 349 Centri di aiuto alla Vita sparsi su tutto il territorio nazionale lo dimostrano con chiarezza: la prima causa d’aborto è la crisi economica (49%), il dato sale al 75% se si sommano le difficoltà per mancanza di lavoro o di alloggio. Eppure, se le donne vengono ascoltate, aiutate e supportate, il trend si inverte: grazie ai Cav, nel 2016 sono nati 8.301 bambini, 13mila sono state le donne gestanti assistite durante il periodo della gravidanza, e oltre 17mila le mamme aiutate con varie tipologie di servizi. Le donne in difficoltà hanno per lo più tra i 25 e 34 anni (55%), sono prevalentemente casalinghe (40%) o senza lavoro (35%).

«Questi dati – spiega Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per vita italiano – testimoniano come, attraverso la semplice azione dei nostri volontari, sia possibile diminuire il dramma dell’aborto. Un fenomeno che ogni anno segna la scomparsa di circa 87mila persone, tante quante ne vivono in una città come Udine». I Centri di aiuto alla Vita negli ultimi 20 anni (dal 1997 al 2016) sono aumentati del 49% e operano ormai su tutto il territorio nazionale. La densità maggiore è al Nord: 187 i centri, uno ogni 174mila abitanti; nel Centro ne sono presenti 65, mentre al Sud e nelle Isole sono attivi 97 Cav.

La Lombardia si conferma la regione con il maggior numero di bambini nati grazie ai Cav (38 ogni 100mila abitanti) e di mamme assistite (66 ogni 100mila abitanti). Le donne ricevono assistenza ma anche sostegno economico: grazie al Progetto Gemma, che permette l’adozione temporanea a distanza di madri in difficoltà, dal 1994 al 2016 ben 22mila donne hanno avuto un contributo mensile per 18 mesi.
L’alternativa all’aborto dunque esiste, manca però una reale sinergia tra le istituzioni. «Solo il 5% delle donne che si rivolge ai Cav – denuncia Gigli – è inviato dai consultori pubblici: il segno del fallimento della legge 194». Il 61% delle donne contatta il Cav nel secondo trimestre della gravidanza. A spingere le donne a chiedere aiuto sono per lo più gli amici (25% dei casi), oppure le parrocchie (17%) e le associazioni (7%). Sul tema della vita, le forze politiche non riescono a fare fronte comune. «Spesso le donne rinunciano all’aborto già dopo il primo incontro – racconta Mario Sberna, deputato del gruppo Des-Cd, e marito di una volontaria del Cav di Brescia –. Purtroppo questa non è una legislatura pro vita.

C’è un continuo e sistematico lavorìo contro la famiglia. I bonus sporadici, per esempio, non hanno a che fare con la maternità, ma noi dobbiamo riportare nel nostro Paese speranza e futuro». Senza una strategia comune a favore della natalità, però, le possibilità di riuscirci scarseggiano. «Nei prossimi vent’anni le donne in età feconda si ridurranno di circa 3 milioni – puntualizza Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Demografia all’Università di Milano Bicocca –. Questo determinerà, a fecondità invariata, circa 60 mila nati in meno rispetto a oggi. Occorre recuperare il patrimonio demografico perduto rimettendo al centro la famiglia e rilanciando la natalità come investimento della società. È importante non disperdere il giovane capitale umano e raccontare la crisi demografica sui media, sensibilizzando la popolazione». Quanto poi al tema delle migrazioni, è ormai urgente «passare dalla fase dell’accoglienza solidale alla valorizzazione di un’immigrazione socialmente inserita e sostenibile». Le donne straniere che si rivolgono ai Cav, provenienti da oltre 90 Paesi, sfiora l’80%: nel 1990 erano il 16%, per poi passare al 54 nel 1997. Nel 57% dei casi arrivano dal continente africano, il 23 dal Marocco e il 13 dalla Nigeria.

Le europee sono invece il 15%, seguono quelle provenienti dall’America Centrale e Latina (13%) e dall’Asia (11%). «L’80% di donne che si rivolgono a noi sono straniere – racconta Maria Luisa Di Ubaldo, coordinatrice dei Cav romani e volontaria da 25 anni –. La maggior parte arriva da Marocco e Nigeria. Si tratta di donne che vivono situazioni difficili. Ma c’è bisogno di mediatori culturali perché ci sia un’accoglienza a 360 gradi». Prima di rivolgersi all’aiuto diretto nei Cav, sono molte poi le donne, soprattutto giovani, che ricorrono al servizio di assistenza Sos Vita, telefonico o via chat, per chiedere ascolto e consulenza, soprattutto sulle conseguenze della pillola dei 5 giorni dopo. Per «garantire la libertà dai condizionamenti della propria realtà d’origine» esiste inoltre una rete di 41 Case d’accoglienza «nelle quali la donna può vivere con serenità la gravidanza e il primo anno di vita del figlio».

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