lunedì 12 agosto 2013
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nUa settimana d’inchiesta per portare alla luce la dilagante piaga della maternità surrogata e delle mamme-schiave in vari Paesi del mondo. La chiarezza della documentazione offerta a cadenza quotidiana da Avvenire non ha scalfito le sicurezze di chi considera questo lavoro d’informazione un’azione «omofoba» e, in particolare, parla di «duro attacco alla legge contro l’omofobia». È la tesi sostenuta da Giuseppina La Delfa, presidente di «Famiglie Arcobaleno-Associazione genitori omosessuali», a parere della quale Avvenire farebbe credere «al pubblico, poco informato sull’argomento, che i gay vadano in India a sfruttare le pance di povere disgraziate per il loro futile capriccio di diventare padri a ogni costo» e che «questo ha qualcosa a che fare con le politiche a tutela degli omosessuali in Italia». Nel blog che cura su L’Huffington Post (la piattaforma di news online diretta in Italia da Lucia Annunziata), sotto un titolo calunnioso – «Avvenire parla di coppie gay e maternità per altri: bugie, falsi miti e omofobia» –, ripreso alla lettera anche dal sito informazione.it, La Delfa afferma che «l’India non permette alle coppie gay, e nemmeno ai single maschi o femmine, di accedere alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita, ndr) entro i suoi confini» aggiungendo che «dal gennaio 2013 la Gpa (gestazione per altri, ndr) in India è permessa soltanto alle coppie eterosessuali sposate da almeno due anni».L’inchiesta di Avvenire sul business degli «uteri in affitto» (un concetto che La Delfa trova «dispregiativo», preferendo l’asettico acronimo Gpa) documenta l’osceno mercato delle gravidanze per conto terzi in India, e registra che a esso hanno fatto (e fanno) ricorso anche persone omosessuali. Lo stop che da qualche mese il governo indiano ha cercato di dare è purtroppo un argine fragile, aggirato e a rischio di definitiva caduta (come Assuntina Morresi spiega in questa stessa pagina). La Delfa però ci accusa di istigare col nostro lavoro di documentazione giornalistica «all’odio e al disprezzo per le persone omosessuali» e sfida a dire «le cose come stanno». È ciò che stiamo facendo, e che volentieri continuiamo a fare.Prendiamo in parola la presidente di Famiglie Arcobaleno e andiamo a vedere nel sito internet della sua associazione che cosa viene proposto alle coppie gay sul tema che qui ci interessa. Nella sezione "Informazioni", ecco un interessante dossier in cui si spiega che «gay e lesbiche hanno la possibilità di divenire genitori in molti modi». La pagina «Gds» (Gestazione di sostegno, altro "elegante" esempio di neolingua per non usare la realistica espressione "uteri in affitto") svela come fare. In una documentata guida si spiega anzitutto come eludere la legge 40, che vieta la pratica all’articolo 12 comma 6: «Il cittadino italiano che va a praticare la Gds in uno Stato estero che la consente – si legge nel sito dell’associazione –, e poi torna in Italia con il figlio o i figli, non infrange alcuna legge, né straniera né italiana». Infatti, la viola, aggirandola. Detto poi che «gli omosessuali che ricorrono alla Gds sono per lo più coppie gay», che nella pratica vengono coinvolte una donna donatrice di ovuli e una «portatrice» della gravidanza, e che «di norma entrambe le donne vengono pagate per il loro contributo», Famiglie Arcobaleno avverte che «in alcuni Paesi le portatrici sono spesso donne povere e impreparate, biecamente sfruttate, esposte a seri pericoli sanitari». Benissimo. Ma, poi, nel paragrafo sui costi si va al dunque: «La Gds – spiega il sito – è una scelta che comporta grossi sacrifici economici e richiede un cambiamento globale del proprio progetto di vita (cosa normale, del resto, quando si fa un bambino...). I costi (aggiornati al 2007) vanno dai 10.000 euro (o meno) di una Gds in India (ma come abbiamo detto occorrerebbe come minimo verificare seriamente sul posto che il processo si svolga in modo eticamente accettabile, nonché adeguato dal punto di vista sanitario) ai 110.000 euro (o più) di una Gds attuata attraverso le più costose agenzie Usa». Ma come? L’India non era una destinazione interdetta? E Avvenire non aveva scritto cose non vere? Guarda caso è la stessa associazione che contesta le nostre informazioni a dire, ancora oggi, nel suo sito, che in India si può andare, basta «verificare seriamente sul posto». Del resto, che malgrado le nuove norme vigenti il Paese asiatico sia ancora scelto dalle coppie gay per affittare la gravidanza è confermato da un altro frequentato sito, www.gay.it, che il 20 maggio – dunque a regole indiane più stringenti già in vigore da cinque mesi – dava notizia della nascita di «due gemellini, Henry e Julianne» voluti da «due papà» americani «volati da New York a Mumbai per il lieto evento». E spiega, con tanto di video ​che reca la data del 15 maggio 2013: «Dopo sei mesi dal matrimonio, la coppia newyorkese Matt e Josh ha avviato un percorso di maternità surrogata con una ragazza indiana». Ma in India non «vanno soltanto le coppie eterosessuali sposate»?La natura calunniosa (verso di noi) e minimizzatrice (verso la pratica dell’«utero in affitto») di La Delfa emerge, insomma, evidente. E lascia interdetti l’appoggio acritico e la titolazione insultante garantita dall’Huffington Post, pur diretto da una giornalista di valore e impegnata per i diritti umani come Annunziata. Esageriamo? Le conclusioni che La Delfa trae in una lettera-comunicato inviataci martedì restano come documento eloquente, scopertamente intimidatorio:«Avvenire: anche la menzogna al servizio dell’omofobia», tuona. E poi rincara: il nostro giornale dimostrerebbe «ancora una volta di essere un quotidiano non solo omofobico, ma anche intento a vendere menzogne e baggianate come informazione». Questo è ciò che si prepara in Italia, beninteso in nome della tolleranza, con le pressanti azioni di lobby e settori politici trasversali in corso in questi mesi.​​​​
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