mercoledì 21 gennaio 2015
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​Caro direttore,tutta la mia solidarietà al professor Paolo Zucconi. L’Ordine degli psicologi lombardi, a quanto pare, ha un ordine di scuderia: o fai come diciamo noi, o taci e, tanto per cominciare, per tre mesi non lavori più. Come ben evidenziato da “Avvenire” con l’articolo di Luciano Moia del 15 gennaio scorso, di questo passo una persona non potrà più rivolgersi allo specialista per proporre e affrontare la propria situazione, nel caso si tratti di orientamento sessuale vissuto con profondo disagio (non mi esprimo da esperto, naturalmente). Oppure lo dovrà fare di nascosto. Proprio oggi, a scuola, commentavo con degli studenti liceali il caso Dreyfus, condannato con una sentenza “già scritta” per un insieme di perverse complicità e solo tardivamente riabilitato. A mio parere di cittadino, mutatis mutandis, quella vicenda si ripropone ora per iniziativa dell’Ordine lombardo degli psicologi. In favore di Dreyfus, Émile Zola lanciò il suo celebre “J’accuse”; nessuno dei membri del moderno sinedrio degli psicologi lombardi intende sottrarsi a un’analoga veemente protesta?Gianluca Segre
Caro direttore,uno psicologo è dunque sulla graticola per avere affermato che dall’omosessualità chi vuole può uscire e può essere aiutato. Apriti cielo! L’Ordine professionale lo ha messo sotto indagine. Fortunato il professionista che rischia “solo” tre mesi di sospensione dall’attività. Esistono “pensieri unici” che, a fronte di equipollenti asserzioni “blasfeme”, prevedono ben altre punizioni.Andrea Picco
Il caso della “censura” contro uno psicologo di lungo e valoroso corso, il professor Zucconi, ha davvero dell’incredibile, cari amici. Lascio da parte ogni altra considerazione, rimandando all’ottimo articolo del collega Moia (“Avvenire” del 15 gennaio scorso), e qui mi chiedo soltanto – da profano quale anch’io sono, ma non da disattento e da sprovveduto – dove siano finiti i paladini della libertà della scienza, e persino gli assertori della più totale autodeterminazione dell’individuo. Che sarebbe libero di fare, tentare, disegnare e dire pressoché di tutto, ma non di rivolgersi a uno specialista per capire se l’omosessualità che eventualmente sperimenta con disagio è o non è la sua condizione. Questa è la dittatura del “pensiero dominante”, e c’è poco da scherzare. Per fortuna non sono ancora legge, in questo nostro Paese, certe incredibili punizioni che si vorrebbe irrogare a chi non si inchina ai “colonialisti” del gay-pensiero, delle teorie del gender, del matrimonio (figli compresi) come diritto anche per coppie di persone dello stesso sesso (che figli naturalmente non possono averne). Ma tra sospensioni dal lavoro in Lombardia (il caso del professor Zucconi di cui stiamo ragionando), inquietanti “bavagli” giudiziari a senso unico in Umbria (il caso dell’avvocato Pillon che abbiamo illustrato ieri), ciclici episodi di intolleranza verso iniziative civili e pacifiche come quelle delle “sentinelle in piedi”, il clima si va facendo pesante. Anche per chi, come noi, rispetta serenamente ogni persona, comunque la pensi e qualunque condizione umana viva. Proprio per questo non ci si può lasciare intimidire, non si può tacere, non si può rinunciare all’impegno. Proprio per questo, però, non ci si deve neanche accodare agli organizzatori delle risse liberticide, dello scontro per lo scontro che si punta a monetizzare in termini elettorali o, comunque, di fazioncina cultural-politica. Personaggi di questo tipo, purtroppo, non mancano e lavorano in maniera stridente (eppure a questo fine convergente) su diversi fronti. Penso anche a certi difensori (interessati e, spesso, di maniera) della “famiglia tradizionale”. Le buone ragioni non hanno bisogno di scimitarre, ma di testimoni tenaci e sobri. C’è bisogno di coraggio: quello di metterci la faccia senza maschere e senza bandiere di comodo, quello di affrontare le offese continuando a non offendere, quello di dire la verità senza paura e senza presunzione, con tutta la carità e la forza necessarie.
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