venerdì 20 ottobre 2017
Sessualità, generazione e famiglia a 50 anni dall'enciclica di Paolo VI. A livello internazionale si accende lo scontro. Dalla Gregoriana proposta per approfondire e ipotizzare nuovi percorsi
Foto Siciliani

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La difesa a oltranza dei metodi naturali dev’essere considerato criterio assoluto e intangibile per la regolazione delle nascite? È vero che il presunto obbligo non discende né da principi scientifici concordemente accettati né da dichiarazioni magisteriali che hanno il sigillo dell’infallibilità e dell’immutabilità?

Sono domande che tornano con frequenza in questi giorni, in vista di un anniversario atteso e temuto, quello del cinquantenario dell’Humanae vitae, l’enciclica che, mentre apre al concetto di paternità e di maternità responsabile, vieta l’uso della contraccezione chimica e indica come unica prassi legittima per la regolazione delle nascite, i metodi naturali. A rendere stimolante, e per certi versi anche problematica, la riflessione avviata sui temi trattati da Humanae vitae, concorrono vari fattori. Anniversario a parte (sarà il 25 luglio del 2018), ci sono studi storici in corso in corso che promettono rivelazioni inedite, convegni e percorsi di formazione, dibattiti a livello internazionale sostenuti da università e istituti di ricerca. A conferma che il rapporto tra indicazioni dottrinali, sessualità coniugale e generazione rimane tema fondamentale , che intercetta cultura, pastorale, teologia, medicina, stili di vita. E che quindi coinvolge tutte le famiglie.

Il corso della Gregoriana: dottrina come percorso dinamico

L’iniziativa culturale di maggior spessore è senza dubbio il corso (iniziato ieri e durerà fino al maggio del prossimo anno) organizzato dalla Facoltà di Scienze sociali e dal Dipartimento di teologia morale della Pontificia Università Gregoriana. «Humanae vitae continua ad essere importante perché ha segnato una posizione fondamentale della famiglia nella Chiesa. Riprenderla cinquant’anni dopo – osserva Emilia Palladino, docente di etica familiare nella facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana – significa utilizzarla come una sorta di griglia riguardo ai mutamenti che ci sono stati». Palladino, insieme a padre Miguel Yanez, direttore del Dipartimento di teologia morale dello stesso ateneo, è responsabile del corso di formazione "Il cammino della famiglia a cinquant’anni da Humanae vitae". Otto incontri – uno al mese da qui al maggio 2018 – con sedici relatori che si alterneranno in una logica interdisciplinare. «Il panorama della famiglia è completamente cambiato – riprende l’esperta – e così quello della coppia e della generazione dei figli. Quindi nell’ottica della realtà che è superiore all’idea, secondo quanto ci insegna papa Francesco, abbiamo ritenuto di non poter liquidare questo appuntamento come una ricorrenza formale».

La grande domanda sullo sfondo è quella di capire come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanae vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris laetitia. Solo pochi giorni fa, presentando il nuovo commento teologico pastorale al Catechismo, Francesco ha detto che «la Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare».

Un criterio che sarebbe difficile non applicare a una realtà così mutevole e complessa come i rapporti di coppia. «Il nostro corso non vuole però essere una rilettura critica dell’enciclica ma – precisa Emilia Palladino – un’analisi dei temi affrontati nel documento alla luce dei cambiamenti registrati in questi decenni. Nessuno vuole mettere in discussione Paolo VI, ma sicuramente cogliere dall’enciclica una serie di elementi su cui oggi, più di allora, è giusto riflettere, perché più di allora questi problemi sono presenti nella vita della coppia».

Quindi anche l’Humanae vitae andrebbe in qualche modo sviluppata, fatta crescere. «Sì – riprende l’esperta – approfondendo questioni come il genere, le coppie miste, le famiglie ricomposte. La situazione sociale, prima della rivoluzione del ’68, era completamente diversa. Oggi invece è giusto farlo, anche se tematizzarli non significa trovare subito le soluzioni giuste per ogni problema». Lo sguardo multidisciplinare si spiega proprio con la necessità di affrontare questioni complesse e delicate come l’amore, la generazione e la genitorialità responsabile con una serie di competenze più vaste rispetto al solo approccio teologico scelto da Humanae vitae. «Non si tratta di negare l’impianto dottrinale che attinge direttamente al deposito della fede ma – conclude Emilia Palladino – di riflettere sulla forma indispensabile per parlare agli uomini e alla donne del nostro tempo. Non vogliamo dare ricette ma mettere in crisi, nel significato più nobile del termine, cioè sollecitare una nuova crescita nella fede».

Metodi naturali: dal divieto alle nuove proposte?

Chi pensa che quanto scritto da Paolo VI in Humanae vitae sia per le coppie credenti un obbligo da perpetuare “nei secoli dei secoli” ignora non solo la storia della Chiesa, soprattutto quella dell’ultimo secolo, ma anche quanto detto dallo stesso pontefice riguardo all’opportunità di non considerare i contenuti dell’enciclica né infallibili né irreformabili.

Vuol dire che sia arrivato il momento di rottamare Humanae vitae? Niente affatto. L’anniversario del mezzo secolo può anzi diventare l’occasione per risanare le divisioni che, proprio sul punto hanno segnato e ancora segnano il mondo cattolico, alla luce di un’operazione di verità e di saggezza. Per riscoprire la verità sul rapporto tra Chiesa e regolazione delle nascite bisogna guardare all’evoluzione del magistero. Tutt’altro che principi cristallizzati in eterno come vorrebbero far credere i più arcigni difensori di una morale fuori dalla realtà, ma riflessioni e indicazioni calati in un naturale dinamismo collegato al cammino dell’uomo incarnato nella storia. Ne ha parlato ieri, durante la prima “lezione” del corso alla Gregoriana, Giuseppe Bonfrate, del dipartimento di teologia dogmatica dello stesso ateneo.

In meno di un secolo l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei metodi naturali di controllo della fertilità è passato dal divieto, alla cauta accettazione, all’indicazione come unico criterio legittimo e infine – ma di questo Bonfrate non ne ha accennato e ci sarà modo di affrontare il tema nei prossimi incontri – al dibattito sulla possibilità di individuare prassi meno complesse ma altrettanto contrassegnate da un alto valore etico. Il divieto è quello espresso da Pio XI nella Casti connubi (31 dicembre 1930). L’unica prospettiva ammessa per l’atto coniugale è quella generativa. Ogni “attentato” dei coniugi per privare l’atto della sua forza e impedire la procreazione va considerato “turpe e disonesto”. Nessuna differenza sulla “qualità dell’attentato” (meccanico, chimico o naturale). Va tutto respinto e condannato.

Passano vent’anni e Pio XII torna sul tema con il celebre “Discorso alle ostetriche italiane” (29 ottobre 1951). Tra gli altri argomenti papa Pacelli affronta quello della contraccezione e apre timidamente, pur con un’ampia casistica di indicazioni contrarie e di distinguo, alla pratica dei “tempi infecondi”. Una svolta che suscitò critiche e accuse di violazioni dottrinali simili a quelle rivolte in questi in questi mesi a papa Francesco.Il Concilio fa un altro passo in avanti. Nella Gaudium et spes si riconosce, che parlando di maternità e paternità responsabili, vale il “retto giudizio dei genitori” che hanno il dovere, accanto a un percorso permanente di formazione della coscienza, di essere informati sui metodi della scienza.

La scelta di Paolo VI: “Sia benedetto chi dissente”

In questo processo evolutivo ecco Humanae vitae. Una gestazione lunga e complessa. Un’accoglienza all’insegna della critica e della delusione. Pochi testi del magistero hanno avuto più vita travagliata. Il percorso inizia nel ’63 quando Giovanni XXIII decide di istituire una "Commissione pontificia per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità". Obiettivo autentico quello di capire come conciliare dottrina morale e regolazione delle nascite. Lo studio prosegue fino al ’66 quando la commissione consegna l’esito dei lavori. Tutto viene secretato in attesa delle decisioni di Paolo VI. Ma, prima di conoscere il parere del Pontefice, nell’aprile ’67, il tema esplode sulla stampa internazionale. Contemporaneamente in Francia su Le Monde, in Gran Bretagna su The Tablet e negli Stati Uniti sul National Catholic Reporter escono i risultati della commissione e si racconta di due pareri contrastanti. Uno favorevole alla "pillola" con 70 voti. E uno contrario con 4 voti tra cui quello del cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto di quello che allora si chiamava Sant’Uffizio.

Questa ricostruzione non è mai stata né confermata né smentita. Si sa però che Paolo VI ha deciso di non fermarsi al parere della commissione. Incarica prima la Congregazione della dottrina della fede (dal giugno ’66 alla fine del ’67), poi la Segreteria di Stato (fino alla metà del ’68) di approfondire il caso e di ascoltare nuovi esperti. Il materiale accumulato, che riempie 18 faldoni, serve a Paolo VI per scrivere Humanae vitae.

Ma cosa ha indotto il papa a riaprire il caso. E cosa c’è in quella documentazione conservata negli archivi vaticani? Lo sta scoprendo don Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica al "Giovanni Paolo II" che – come abbiamo anticipato lo scorso 30 agosto su Avvenire – ha avuto il via libera per consultare la corposa documentazione e, in vista del 50esimo dell’enciclica, divulgare i passaggi finora segreti del lungo itinerario. Una ricerca che, come abbiamo già ricordato non ha l’obiettivo di "rivedere" i contenuti di Humanae vitae. Anche se una revisione del documento era già stata messa in conto dallo stesso Paolo VI. L’11 agosto 1968, presentando il documento alla stampa, monsignor Ferdinando Lambruschini, allora ordinario di teologia morale alla Lateranense, dopo pochi mesi nominato arcivescovo di Perugia, spiegò – su diretta richiesta del Papa – che quel testo non doveva essere considerato né infallibile né irreformabile. E lo stesso Paolo VI più volte negli anni successivi, scosso e turbato dalle critiche giunte anche da teologi da lui stimatissimi, come padre Bernard Haering, riconfermò il valore del giudizio di coscienza dei coniugi accompagnati da una saggia guida spirituale.

Non solo. All’Angelus dell’11 agosto 1968, meno di due settimane dopo la pubblicazione dell’enciclica, benedisse anche i dissenzienti: «Un’altra intenzione è nel Nostro cuore in questi giorni. Voi conoscete i commenti alla Nostra ultima Enciclica Humanae Vitae in difesa della trascendenza e della dignità dell’amore, della libertà e della responsabilità degli sposi, e dell’integrità della famiglia: moltissimo commenti sono nobilissimi e favorevoli, altri no: chiediamo al Signore che conforti il Nostro magistero della sua autorità, della sua serenità e della sua bontà. Siano benedetti tutti coloro che lo accolgono, e lo siano pure coloro che lo avversano, affinché la loro coscienza sia illuminata e guidata da rettitudine e dottrinale e morale, vera e superiore: li avremo, se non altro, invitati a riflettere su un tema di così vitale importanza».

Che differenza rispetto ai fustigatori implacabili dei nostri giorni. Perché non domandarsi da dove nascesse questa attenzione per le ragioni degli oppositori? Se davvero fosse stato convinto dell’indiscutibilità delle sue tesi avrebbe mostrato altrettanta disponibilità nell’ ascoltare ragioni contrarie a quelle espresse in Humanae vitae?

Il confronto internazionale

Oggi la questione, soprattutto a livello internazionale, si condensa in due posizioni ben radicate. Ricordare Humanae vitae per sottolinearne le presunte incongruenze e passare oltre? Celebrare il traguardo del mezzo secolo con l’obiettivo di ribadire l’obbligo – peraltro non richiesto, come detto, neppure da Paolo VI – di non spostare neppure una virgola?

Al primo gruppo si iscrivono teologi e studiosi che, su sollecitazione del John Wijngaards Catholic Research di Londra, hanno messo a punto un documento per chiedere la modifica della posizione tradizionale sui cosiddetti "contraccettivi artificiali". Il testo completo, a cui stanno lavorando esperti di vari orientamenti e specializzazioni, verrà reso noto in prossimità dell’anniversario, ma le argomentazioni di fondo sono note. «Il nostro Rapporto – spiega Luca Badini Confalonieri, direttore scientifico dell’Istituto – mostra, tra le altre cose, come due delle affermazioni chiave di Humanae vitae (1. il significato procreativo è sempre presente in ogni singolo atto sessuale; 2. il metodo della continenza periodica non è da considerarsi un mezzo di contraccezione "artificiale") sono in esplicita contraddizione con l’interpretazione ufficiale della Gaudium et spes contenuta nelle risposte delle cosiddetta "commissiona dottrinale mista" a precisi "modi" – o proposte di modifica – che alcuni padri conciliari avevano richiesto ai paragrafi 48-51 sulla paternità responsabile. Nonostante tali affermazioni fossero state esplicitamente respinte come erronee dalla commissione dottrinale, dopo meno di tre anni riemersero come centrali nell’Humanae vitae contraddice».

Nel testo – a cui hanno già aderito oltre 200 esperti – anche due analisi dettagliate, una sui motivi per cui i metodi naturali non possano essere la soluzione a livello globale, l’altra sulle conseguenze della proibizione della contraccezione artificiale nei Paesi in via di sviluppo.Di tenore diametralmente opposto il documento diffuso dalla Catholic University of America che s’intitola "L’insegnamento della Chiesa sul dono della sessualità", in cui si attacca il testo diffuso dal Wijngaards Catholic Research per riaffermare il valore profetico dell’enciclica di Paolo VI e per riconfermare, in dieci punti, l’intangibilità della posizione tradizionale. Insomma, nulla è cambiato, nulla dev’essere cambiato.

Si tratta davvero una posizione coerentemente cristiana? Così spiega Papa Francesco in Amoris laetitia: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo che sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alle fragilità…».

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