sabato 4 febbraio 2017
Nella Giornata nazionale per la vita del 5 febbraio i vescovi italiani invitano a riflettere sull'esempio di Madre Teresa e sugli insegnamenti del Papa. Accomunati da una visione coerente dell'uomo.
Con la vita tutta intera, come Madre Teresa e il Papa
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Che cosa significa difendere la vita e farsi promotori di una cultura per la vita? Prendiamo un esempio. Che è stato anche canonizzato: Madre Teresa di Calcutta. Questa donna non ha distillato un pensiero pro-life, ma con tutto il suo essere e in tutta la sua esistenza si è resa a tutti disponibile attraverso l’accoglienza spazzando via da sé le distinzioni di fedi, di razza, di origine, di cultura, di lingua o di stato sociale, secondo l’apertura universalistica del Vangelo. Si è prodigata per ogni vita umana, da quella non nata a quella abbandonata e scartata, non solo proclamando incessantemente che «chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo, il più misero», ma anche chinandosi in prima persona sulle persone sfinite, scartate, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva dato loro. La vita è anzitutto un dono. Sì, ma non al vento delle parole: Madre Teresa con la sua testimonianza ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini della miseria creata da loro nel deturpare questo dono. Per lei «essere rifiutati è la peggiore malattia che un essere umano possa provare». Particolare attenzione ha quindi voluto dedicare all’isolamento sociale, e per questo motivo le sue iniziative sono sempre state inclusive, anche in relazione alle diversità di cultura, lingua e religione.

Testimonianza o ideologia
Madre Teresa non è mai caduta nella tentazione di isolare e trasformare qualcuno dei principi morali in luce dal quale far provenire tutte le altre verità della fede: non ne ha perciò fatto un’ideologia. Ha reso testimonianza dell’unica dottrina: la Persona di Cristo, e solo Cristo in lei traspariva, servito e amato nel prossimo, soprattutto nelle piaghe dei poveri, dai quali lo ha ricevuto. «La santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce – scrive la Cei nel Messaggio per la Giornata nazionale per la vita in programma domenica –. Nel suo "ho sete" (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace». Così ha tenuto accesa la fiamma e la tensione della fraternità universale sul modello evangelico, dando esempio di relazione reciproca tra chi dona e chi riceve nella comprensione e nel rispetto, attraverso la condivisione di stili e condizioni di vita. Così ha mostrato come difendere la vita significhi amare Dio, che equivale ad amare il prossimo: perché questi due amori, per volere di Dio, sono inseparabili. È quanto scritto sulla sua semplice tomba a Calcutta, meta di pellegrinaggi di credenti di ogni fede, dove è stato inciso un verso del Vangelo di Giovanni: «Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi». Questa cultura della vita Madre Teresa ha incarnato e proclamato, e per questo la sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane come testimonianza eloquente, «simbolo e icona per i nostri tempi», come ha ricordato papa Francesco nel canonizzarla.

Cose o persone
Ed è esattamente su questa stessa lunghezza d’onda che si muove il suo magistero sulla cultura della vita, in opposizione alla non cultura dello scarto. È proprio l’esempio della santa di Calcutta al centro della riflessione dei vescovi italiani, che citano il Papa: «Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte ci troviamo in situazioni in cui quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa». Il grado di progresso di una civiltà non si misura solo dalla diffusione di strumenti tecnologici ma dalla capacità di custodire la vita, in tutte le sue fasi, dalla nascita fino alla morte, soprattutto nelle sue fasi più fragili. «Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana – ha affermato il Papa –. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità». E guardare con attenzione al tempo che unisce l’inizio con la fine, il che vuol dire anche riunire la risorsa di quel filo generazionale tra gli anziani e più i giovani per riconsegnare alla vita la memoria e il futuro. Quello che i poteri tendono a distruggere nella devastante «dittatura dello scarto» che produce «avanzi della convivenza sociale» e, implacabile, riduce a pezzi la vita, costringendo a lasciare in piedi solo smemorati utili, produttivi funzionali al dio del mercato globale, come fanno le guerre.

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