mercoledì 25 settembre 2013
La legge tutela il “segreto” ma una decisione della Consulta potrebbe cambiare le cose. Torna attuale la questione dei figli abbandonati alla nascita. Da una parte chi ritiene giusto garantire l’anonimato per evitare aborti o neonati gettati nei cassonetti; dall’altra chi parla di ingiustizia
INTERVISTA
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Da una parte c’è Sara. A 16 anni è stata violentata, è rimasta incinta e ha preso una decisione coraggiosa: a quel figlio concepito con un “mostro” vuole dare il diritto di vivere. E lo partorisce, scegliendo di non riconoscerlo, di non doverlo incontrare mai: troppo dolore. Dall’altra c’è Gloria. A 16 anni ha scoperto di essere stata adottata e che la sua mamma naturale, per ragioni economiche, non l’ha riconosciuta: è piena di rabbia, si sente tradita e vuole una cosa soltanto, cercare e trovare sua madre, chiederle perché l’ha lasciata.Tra Sara e Gloria, volti di un dissidio all’apparenza insolubile, la legge italiana “sceglie” – dal lontano 1983 – la prima. Vale a dire, la segretezza del parto. Che garantisce sì un diritto alla madre, ma anche a suo figlio: quello di nascere. E che tuttavia a quel figlio finisce anche per toglierlo, un diritto: quello di conoscere le sue origini.La legge “contestata”. In particolare, la legge 184 sull’adozione stabilisce che «l’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche solo uno dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato». Una decisione sostanzialmente confermata nel 2003 con l’introduzione del Codice delle privacy, che stabilisce in 100 anni – ovvero in mai – il tetto oltre il quale i bambini non riconosciuti possono accedere alla cartella clinica che riporta i dati della madre.Il dibattito sulla questione è destinato a riaccendersi nelle prossime settimane sulla scorta di una proposta di modifica alla legge depositata in Parlamento dall’onorevole pd Luisa Bossa (che vorrebbe far scendere quel tetto a 25 anni) e soprattutto vista l’attesa pronuncia della Corte Costituzionale, chiamata dal Tribunale di Catanzaro alla fine del 2012 a esprimersi sul caso di una donna non riconosciuta che ha avanzato il suo diritto a conoscere la sua madre naturale. In realtà la Consulta sulla segretezza del parto s’era già pronunciata nel 2005, quando il Tribunale di Firenze (l’estensore del ricorso, però, era lo stesso di Catanzaro) aveva avanzato analoghe obiezioni: allora i giudici spiegarono bene come la decisione della partoriente di restare anonima prevalga sul preteso diritto del figlio perché in grado di «distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi». Sottinteso, l’aborto, o peggio l’abbandono nei cassonetti.L’indicazione di Strasburgo. A cambiare le carte in tavola, però, ha pensato a settembre dell’anno scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo, a seguito di un ricorso presentato da un’altra cittadina italiana – tal Anita Godelli – nata nel 1943 da una donna che si era avvalsa del segreto: con lapidaria motivazione la Corte ha stavolta accolto la domanda, affermando perentoriamente che «il diritto all’identità, da cui deriva il diritto a conoscere la propria ascendenza, fa parte integrante della nozione di vita privata», e che, a causa dei divieti frapposti dalla legge italiana, la donna che nel nostro Stato partorisce in anonimato «gode del diritto puramente discrezionale di mettere al mondo un figlio in sofferenza, condannandolo per tutta la vita all’ignoranza»: in tal modo «viene data una preferenza cieca all’esclusivo interesse della madre». Parole pesanti, di cui ora sembra impossibile che la Consulta non tenga conto nel suo imminente pronunciamento.Fronti contrapposti. In Italia – dove i bebé non riconosciuti sono tra i 300 e i 500 ogni anno – da qualche anno associazioni e comitati che riuniscono figli adottati in queste circostanze stanno portando avanti una vera e propria battaglia per l’abolizione della segretezza del parto. Su tutti, il Comitato per la conoscenza delle origini, nato nel 2008, che stima in 400mila le persone “private” di questo diritto. Tra loro, sono centinaia quelle che si cercano – e a volte si trovano – sul web, dove fioccano blog e siti dedicati all’argomento, con annunci di ricerca e storie di ricongiungimenti. Ma se l’attesa pronuncia della Consulta alimenta le loro speranze, sta anche sollevando non poche preoccupazioni tra le associazioni che si occupano di adozioni. È il caso dell’Anfaa, che riunisce a livello nazionale le famiglie adottive e affidatarie, e secondo cui proprio la tutela della segretezza del parto ha finora consentito ai bimbi non riconosciuti di nascere e di essere adottati. Senza contare la posizione delle madri “segrete”, che a distanza di tanti anni potrebbero essere chiamate a rileggere pagine dolorose del proprio passato e a veder messo in discussione il proprio presente. Quale diritto ne può calpestare un altro? Il dibattito è – drammaticamente – aperto.
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