venerdì 17 gennaio 2014
​Il cuore del 38enne francese Lambert continuerà a battere. Ma per la seconda volta in 9 mesi, il paziente tetraplegico, in stato di coscienza minima da 5 anni a causa di un incidente stradale, potrà vivere solo grazie al verdetto di un Tar.
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Il cuore del 38enne francese Vincent Lambert continuerà a battere. Ma per la seconda volta in 9 mesi, il paziente tetraplegico, in stato di coscienza minima da 5 anni a causa di un incidente stradale, potrà vivere solo grazie al verdetto di un tribunale amministrativo che ha dato ieri nuovamente ragione ai genitori del giovane e a quella parte del mondo medico transalpino scandalizzata dalla volontà dell’Ospedale universitario di Reims di arrestare l’alimentazione artificiale. Da mesi, il “caso Lambert” suscita molto più che umana pietà. Fra i familiari del giovane, è nato un conflitto sulla “reale volontà” di Vincent, mai formalizzata per iscritto. A più riprese, la moglie ha chiesto la cessazione dell’alimentazione, in nome della «dignità». Un’opzione che il reparto di Cure palliative a Reims ritiene conforme alla Legge Leonetti sul fine vita del 2005, fondata sul principio di un rifiuto categorico dell’eutanasia attiva affiancato da un’analoga opposizione verso l’accanimento terapeutico. Ma i genitori di Vincent e altri familiari, sostenuti da una cordata di esperti di bioetica e di luminari di altri ospedali universitari, ricordano che il giovane si trova in uno stato stazionario e non terminale. E ieri, in un clima di forte attenzione mediatica, il Tribunale amministrativo di Chalons-en-Champagne ha dato ragione proprio alla necessità di tutelare la vita. Per i giudici, «il proseguimento del trattamento non era né inutile, né sproporzionato e non aveva per obiettivo il solo mantenimento artificiale della vita». Nelle stesse ore in cui l’ospedale e la moglie di Vincent hanno promesso un ricorso al Consiglio di Stato, il dibattito è ripreso. Martedì, il presidente socialista François Hollande aveva ribadito di voler varare quest’anno una legge per offrire «un’assistenza medica per finire la propria vita nella dignità». E anche ieri, il ministro della Sanità, Marisol Touraine, ha sostenuto, in modo poco neutrale, che la legge Leonetti «comporta ambiguità che occorre togliere». Ma il “caso Lambert” e la posizione controversa dei medici di Reims hanno spinto pure tante voci a denunciare il rischio crescente di derive ispirate da una volontà di dare la morte. L’Ordine degli infermieri si è appena schierato fermamente contro l’eutanasia e il suicidio assistito, ricordando a tutti la realtà clinica: «Non si deve banalizzare la morte. Ci sono pazienti molto sofferenti che non chiederebbero l’eutanasia se fossero curati correttamente». Da parte sua, lo stesso Jean Leonetti, padre della legge quadro (frutto all’epoca di un larghissimo consenso bipartisan), deputato neogollista e medico, chiede all’esecutivo e al mondo medico di non aprire l’era dell’«eutanasia per tutti». E nelle ultime ore, anche la Conferenza episcopale francese ha invitato tutti a riflettere: «È nostra convinzione profonda che un cambiamento legislativo possa avere per unico obiettivo di rendere più manifesto il rispetto dovuto a ogni persona in fin di vita. Ciò implica il rifiuto dell’accanimento terapeutico, il rifiuto dell’atto di uccidere, così come lo sviluppo delle pure palliative e il rafforzamento delle solidarietà familiari e sociali».
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