
Un momento del Congresso dell'Associazione internazionale Parent Project a Roma
Nel fine settimana che ha concluso il mese di febbraio dedicato alle malattie rare Roma ha ospitato la XXII edizione del congresso internazionale dell’Associazione Parent Project, dedicata alle Distrofie muscolari di Duchenne e Becker, malattie neuromuscolari rare e degenerative. Presenti anche i Centri NeMO nel dare il contributo al dibattito con l’esperienza clinica e scientifica sulla malattia.
«Trasformare i confini in orizzonti. Ogni giorno è un’opportunità» il titolo delle tre intense giornate di lavori, che hanno voluto tracciare il segno della possibilità. Perché, di fatto, di piccoli e grandi segni si è respirato in questi giorni di confronto tra genitori ed esperti sulla malattia.
Il segno della scienza, in primo luogo, che mai come in questo momento è foriera di nuove sfide, grazie agli studi in corso sui nuovi trattamenti farmacologici. Si parla, infatti, di strategie di exon skipping e terapia genica, per patologie che colpiscono prevalentemente i maschi, causate da alterazioni del cromosoma X responsabile della produzione della distrofina, la proteina che è fondamentale per il corretto funzionamento dei muscoli.
La Distrofia muscolare di Duchenne (Dmd) è la forma più grave, interessa circa un bambino ogni 5.000 e si caratterizza per l'assenza totale della distrofina. Nel caso della Becker (Bmd) parliamo di una forma più lieve perché, seppur ridotta, una quantità distrofina è presente. Entrambe causano un progressivo indebolimento muscolare, che può coinvolgere anche cuore e muscoli respiratori, con un percorso diagnostico che ancora oggi può essere complesso e con la necessità di una presa in carico clinica multidisciplinare.
E poi i segni dell’esperienza delle famiglie, di cui la scienza si nutre, con la testimonianza di chi la malattia la vive in prima persona o al fianco del proprio caro. Generativa è la voce dei siblings, i fratelli e le sorelle dei ragazzi con Dmd e Bmd, con la loro ricerca di equilibrio tra l’autonomia e l’autodeterminazione e il senso di responsabilità e protezione per la fragilità di un fratello che si ama, con tutta la complicità e la leggerezza di chi riconosce il valore di non essere soli.

Con la stessa leggerezza si fa cultura di inclusione, attraverso la lettura dei segni di abilismo, che in fondo non sono altro che la paura sociale di ciò che non si conosce. Racconti lucidi, profondi e resi frizzanti da quel pizzico di sana autoironia da parte di giovani che hanno consapevolezza delle proprie risorse, con il desiderio di definire un nuovo orizzonte per sé stessi e la propria comunità. Lo dimostrano i laboratori che in parallelo si sono susseguiti per tutto il congresso: spazi creativi per i più piccoli; di confronto e sperimentazione per i più grandi. Un tempo quasi sospeso, corso via leggero, intorno ai tavoli dei lavori nella grande sala plenaria, tra le chiacchiere nei corridoi e nelle serate di festa.
Tra le piccole e grandi tracce lasciate, rimane il solco della testimonianza di Rachel Callender, formatrice, scrittrice e mamma della piccola Evie, con il suo impegno nell’educare a nuovi linguaggi per la comunicazione in ambito sanitario: «La disabilità non è un difetto nella singola persona; è un difetto in una cultura che non accetta o non abilita una persona per quello che è e per ciò di cui ha bisogno». Perché, in fondo, la sfida e la bellezza di imparare a trasformare i confini in orizzonti riguarda ciascuno di noi e il nostro essere parte di un viaggio che ci vede insieme agli altri, consapevoli di dover fare la nostra parte nel creare ogni giorno i segni di nuove opportunità.