giovedì 13 aprile 2017
Il presidente del Movimento per la vita, Gigli, chiede l'intervento della magistratura «rispetto a iniziative che si configurano come vera e propria istigazione al suicidio»
Davide Trentini (da Facebook)

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È morto stamani in Svizzera Davide Trentini, il malato di sclerosi multipla accompagnato ieri oltralpe per l'eutanasia da Mina Welby, copresidente dell'associazione Luca Coscioni. A dare la notizia è stata la stessa Welby a Radio Radicale. «Basta dolore, subito» chiedeva l'uomo, 53 anni, in un video pubblicato sulla pagina Facebook «Eutanasia Legale» e condiviso da Marco Cappato. La malattia si era presentata nel 1993: Davide aveva 27 anni e faceva il barista, amava il calcio e la musica. Cominciò a non sentire più un lato del corpo. Negli ultimi tempi passava le giornate a letto o sulla sedia a rotelle, senza riuscire neppure a mangiare e a dormire. Davide ha lasciato un video, in cui appare sorridente e saluta: «Auguro a tutti tanta salute e tanta serenità» è stato il suo ultimo messaggio.

Se Fabiano Antoniani era un caso drammatico, estremo e assai raro nella combinazione delle sue disabilità, conseguenza di un grave incidente, Davide – l’ex barista toscano di 53 anni che i radicali dell’Associazione Luca Coscioni mercoledì 12 hanno accompagnato in Svizzera perché facesse la stessa tragica fine di "dj Fabo" un mese e mezzo fa – è malato di Sclerosi multipla, malattia degenerativa della quale sono affetti ben 110mila italiani (dati Associazione italiana sclerosi multipla, Aism), con un’incidenza di 188 casi per 100mila abitanti. Una patologia progressiva e invalidante che tuttavia a chi ne soffre non impedisce a lungo di poter fare una vita sostanzialmente normale, come testimoniano i numerosissimi casi dei quali la stessa Aism ha proposto le storie nel corso di innumerevoli iniziative di sensibilizzazione.

È questo il punto, infatti: è fuori discussione e meritevole del massimo rispetto la sofferenza di persone come Davide che da molti anni – nel suo caso, ben 26 – patiscono le conseguenze di una malattia che menoma l’organismo appannandone un giorno dopo l’altro funzioni e capacità, fino a disattivarle. Ma la richiesta disperata di farla finita assecondata da chi della "libertà di scelta" sulla propria fine sta facendo una battaglia ideologica e politica per ottenere la legalizzazione dell’eutanasia rischia di affiancare l’opzione della morte – sullo stesso piano – a quelle di speranza e di futuro così faticosamente aperte e messe in sicurezza dai malati e da chi si batte accanto a loro perché la vita sia piena e priva di ogni forma di discriminazione.

Ad accogliere l’appello di Davide per essere portato in Svizzera a morire a pagamento è stata materialmente Mina Welby, ma la notizia è stata diffusa via Twitter da Marco Cappato, che a fine febbraio aveva portato Fabo a darsi la morte in un centro elvetico specializzato in servizi di suicidio assistito (definirlo "clinica" non è evidentemente appropriato) e che per questo è ora sotto inchiesta dalla Procura di Milano visto che l’aiuto al suicidio in Italia è e resta reato. Costo di tutta l’operazione, in quel caso come oggi: 10mila euro, che i radicali hanno contribuito a raccogliere.

Altra similitudine è la scelta del momento: se in febbraio il timore dei sostenitori dell’eutanasia legale era che la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento tardasse ad arrivare all'esame dell’aula di Montecitorio dopo un tormentato percorso in Commissione Affari sociali, ora si cerca nuovamente di esercitare sul Parlamento impegnato in una delicatissima riflessione sulla vita e la morte una indebita pressione emotiva perché "faccia presto" e non si perda in sottigliezze, che in realtà sono questioni di grande portata giuridica, etica e culturale, di certo da sottrarre all'ombra di vicende così dolorose e personali, consigliando semmai a tutti di tenerle al riparo da simili strumentalizzazioni. Media e politica sapranno reagire a questo nuovo tentativo di usare la sofferenza per scopi politici?

"L'ennesimo caso di accompagnamento da parte dell'Associazione 'Luca Coscioni' di un paziente italiano in Svizzera per essere fatto morire con tecniche di suicidio assistito ripropone la necessità di un intervento della magistratura rispetto ad iniziative che si configurano come vera e propria istigazione al suicidio. Il nostro rispetto e la nostra partecipazione per il dramma umano dei pazienti non ci esime dalla riprovazione totale di chi utilizza le loro sofferenze per lucrare politicamente ed ideologicamente sulla loro fine". Lo afferma il presidente del Movimento per la Vita Italiano, Gian Luigi Gigli.

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