giovedì 1 maggio 2025
Dal "suo" Giubileo la scrittrice che ha firmato romanzi di successo su grandi figure femminili della storia racconta l'esperienza della disabilità trasformata in una risorsa. Grazie alla fede
Rita Coruzzi con i suoi libri

Rita Coruzzi con i suoi libri

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Non lasciatevi rubare la speranza! Questa frase ora più che mai riecheggia nelle chiese e soprattutto a Roma durante il Giubileo della Speranza. E più che mai queste parole di Francesco devono riecheggiare nelle menti e nei cuori, soprattutto all’indomani delle giornate del Giubileo dedicate alle persone con disabilità (il 28 e 29 aprile) di cui io stessa faccio parte. Per tanto tempo ho lasciato che la mia condizione di disabile sulla sedia a rotelle mi togliesse la speranza e la voglia di vivere e di lottare, fino a quando non mi è stata restituita a Lourdes in un miracolo del cuore.

Ecco perché a Roma mi sono unita ai tanti disabili che ringraziano di avere speranza, e sono partita stringendo a me un libro particolarmente caro, che riporta una foto di me e papa Francesco in copertina. Questo libro, Come una farfalla, narra la mia storia, come io sia riuscita a sperare contro ogni speranza. Infatti con l’aiuto del Signore sono riuscita ad accettare la mia condizione, vedendola non più come un castigo ma come volontà di Dio, trasformando così me stessa in portatrice di speranza. Ed è proprio così che ho vissuto queste particolari giornate, pensando che la Speranza è colei che trascina da sempre la Fede e la Carità, è più grande di tutto, della malattia, degli ostacoli da superare, perfino della morte. Come cristiana faccio in modo di vivere la mia vita in questa ottica sia per la mia condizione, che voglio offrire quotidianamente affinché possa essere motivo di salvezza e di conforto agli altri, sia nella morte di persone care. So che i loro insegnamenti non andranno perduti e che un giorno li rivedrò e starò con loro per sempre.

A questo proposito bisogna prendere come esempio Maria ai piedi della Croce: piangeva il figlio morente, ma non smetteva di credere nella risurrezione. Prendiamo esempio da lei, donna e madre della Speranza. Ho portato a Roma il libro della mia storia per essere voce di tutti i disabili che non hanno voce e per far capire che la speranza può salvare e può arrivare in qualsiasi momento, anche nell’ora più buia, quando tutto sembra perduto. Mi sono fatta insieme agli altri pellegrina di speranza. È qualcosa che desideravo fare anche con il mio lavoro di scrittrice, perché ho capito che anche la lettura, la cultura e le storie vere di donne coraggiose come Matilde di Canossa, Giovanna d’Arco, santa Rita, delle quali ho scritto nei miei romanzi storici, possono essere portatrici di speranza. Ecco perché amo scrivere queste storie, sperando di portare coraggio e infondere speranza a chi si sente sminuito o svalutato, perché sull’esempio di queste grandi donne, alcune anche sante, si possano trasformare i momenti dolorosi in opportunità.

Nel libro che ho portato con me al Giubileo narro anche l’esperienza vissuta durante il pellegrinaggio in Terra Santa. All’interno della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme ho sperimentato emozioni così forti da essere impresse nella mia mente e nel mio cuore per sempre. Con l’aiuto di mio padre e di altri pellegrini del nostro gruppo, riuscii a salire anch’io sul Golgota, attraverso quella scala così ripida e stretta da lasciare senza fiato. Quando giunsi nel punto dove fu piantata la croce e dove Gesù morì provai la sensazione di una tale sofferenza che mi parve di svenire. Stavo male, percepivo solo un’infima parte del grande dolore di Gesù in croce, però stavo male. In quel momento realizzai quanto Gesù aveva sofferto morendo per me e mi sentii il cuore veramente pesante, mi chiedevo chi fossi io per non accettare la mia condizione se Gesù era morto per me soffocato, con i polmoni pieni di acqua e con così tante ferite inferte dalla flagellazione e dai chiodi. Per molto tempo non ero riuscita ad accettare la carrozzina e mi ero allontanata da Lui, accusandolo di avermi abbandonata.

Quel giorno davanti al Golgota ne sentii tutto il peso e il rimorso, e neanche dopo una confessione riuscii a stare bene, il mio cuore sanguinava e piangevo in silenzio per quanto fossi stata egoista e superficiale nei confronti di Chi aveva dato la vita per me. Dopo però accadde un fatto straordinario. Tornai al sepolcro accompagnata da un sacerdote, ma non entrai, restai fuori a pregare e a chiedere perdono. Poi all’improvviso ebbi la sensazione di essere fissata, e quando alzai gli occhi vidi che il prete ortodosso che faceva servizio all’ingresso si era avvicinato. Mi chiese sorridendo se volessi entrare. Accettai e venni spinta velocemente dal sacerdote, che mi accompagnava. Dopo essere entrata notai che il padre ortodosso aveva bloccato la fila dietro di me. Ero dunque sola nel sepolcro, mi sentii davvero faccia a faccia con Gesù Risorto, e capii che Lui mi stava perdonando. Perdonava le mie mancanze, la mia rabbia verso di Lui, il mio allontanamento, il non aver capito quanto era stata grande la sua sofferenza in confronto alla mia. In quel dialogo silenzioso nel sepolcro vuoto capii che Lui mi considerava risorta con Lui dopo aver avuto la conversione a Lourdes, e tutto quello che era stato della mia vita prima di quel momento era cancellato, perdonato, dimenticato. In quel momento speciale – oserei dire quasi ultraterreno – mentre sul Golgota mi ero sentita male per Gesù crocifisso, nel sepolcro ci fu l’abbraccio col Risorto, che mi diceva di non temere.

Non aveva importanza ciò che era stato: ciò che contava era quel momento. Ero risorta con Lui e Lui era vicino a me per sempre. Da allora la mia speranza è tutta in quell’abbraccio: l’abbraccio del Risorto che sarà con me tutti i giorni della mia vita, fino all’eternità.

* Scrittrice

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