lunedì 21 ottobre 2019
«Difetto di motivazione»: la Consulta ha deciso sul ricorso della coppia di donne sposate secondo la legge del Wisconsin, che le aveva anche riconosciute entrambe madri di un bimbo nato da eterologa
Foto archivio Boato

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Respinto per «difetto di motivazione». La Corte costituzionale ha deciso sul ricorso della coppia di donne sposate secondo la legge dello Stato americano dell'Illinois, che le aveva anche riconosciute entrambe madri di un bambino nato a Pontedera da una delle due, concepito con fecondazione eterologa in Danimarca.

Il diniego della richiesta di veder riconosciuta la "doppia maternità" – per la vera madre, americana, "gestazionale", per la sua compagna italiana definita invece "intenzionale" – anche dal registro anagrafico italiano le aveva indotte a rivolgersi al Tribunale di Pisa, che aveva deciso di rimettere la questione al giudizio della Consulta.

Il verdetto ora lascia inalterata la normativa italiana con un giudizio di inammissibilità, come spiega l’ufficio stampa della Corte che ha anticipato l’esito della camera di consiglio rimandando alla prossima pubblicazione del testo integrale della sentenza: «Il Tribunale – informa la nota diffusa nella serata di lunedì 21 ottobre – ha riferito il proprio dubbio di costituzionalità a una norma interna che avrebbe impedito l'applicazione della legge straniera, rilevante nel caso concreto in ragione della nazionalità del minore, ma non ha individuato con chiarezza la disposizione contestata, né ha dato adeguato conto della sua affermata natura di "norma di applicazione necessaria"».

In sostanza, alla tesi dei legali della coppia di donne che chiedevano alla Consulta di consentire la registrazione delle "due madri" essendo prevista nel diritto del Paese di cui il bambino ha la cittadinanza (trasmessa dalla madre) la Corte ha opposto il rifiuto a intervenire sull’ordinamento italiano vigente. In sede di udienza pubblica davanti alla Consulta, il 16 ottobre, il Governo aveva omesso di costituirsi tramite l’Avvocatura dello Stato a difesa delle leggi vigenti, una scelta ritenuta significativa dell’orientamento della maggioranza in materia.

Casi analoghi erano stati risolti dai tribunali applicando la legge 184 del 1983 sulle adozioni nella parte in cui – all’articolo 44 – le prevede anche in casi «particolari», adducendo l’esigenza di tutelare la continuità affettiva del minore. Pur in assenza di una normativa sulla «stepchild adoption», deliberatamente esclusa dal Parlamento quando approvò la legge sulle unioni civili, le sentenze delle corti locali avevano di fatto consentito l’adozione da parte della donna che non è madre del bambino senza però mai dichiararla madre al pari di quella biologica, non potendo ovviamente forzare la legge fino a questo punto.

Ora il no della Corte costituzionale ferma anche il primo tentativo in questa direzione approdato davanti al "giudice delle leggi". Un verdetto che si somma a quello, di identico tenore, col quale la Corte di Cassazione a sezioni unite – e dunque al suo massimo livello di autorevolezza giurisprudenziale – in maggio aveva affermato che non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero che ha riconosciuto il rapporto di filiazione anche da parte del componente di una coppia dello stesso sesso che non ha legami genetici col figlio del partner.

Pochi giorni prima della sentenza della Corte costituzionale il Tribunale di Piacenza aveva confermato il diniego da parte del Comune di «registrare l’atto di riconoscimento di un bambino, nato con tecnica di fecondazione assistita, da parte della compagna della madre biologica», segnando un primo cambiamento di rotta. Che la Consulta ora conferma al più alto livello.

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