giovedì 29 maggio 2025
La sentenza della Corte costituzionale legittima la volontà di diventare genitore a tutti i costi, aggirando la legge 40 (che resta): come può essere questo il "migliore interesse" di chi nasce?
"Due mamme"? Il genitore "intenzionale" e la logica del fatto compiuto
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«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi»: è la celebre frase con cui nel Gattopardo si denunciavano i cambiamenti apparenti, finalizzati a mantenere lo status quo. A rovesciare il concetto ha provveduto di recente la Corte costituzionale, che con due sentenze sembra non aver modificato niente dell’accesso alla Procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia ma ha posto le basi concettuali per cambiare tutto. Andiamo con ordine.

La sentenza n.68, pubblicata il 22 maggio, riconosce l’esistenza di “due mamme”: se due italiane si recano all’estero e firmano un consenso informato per sottoporsi a Pma eterologa, a prescindere da chi contribuisca biologicamente al concepimento e alla gravidanza, una volta tornate in Italia possono essere riconosciute entrambe come madri del bambino, sia che il parto avvenga in Italia, sia che il piccolo nasca all’estero e poi, al ritorno, le donne chiedano di essere riconosciute come madri legali. Con la sentenza n.69, invece, non si consente a una donna single di avere accesso alle tecniche di Pma nel nostro Paese. Non cambia, quindi, l’articolo 5 della legge 40: ancora oggi in Italia possono ricorrere alle tecniche di Pma un uomo e una donna maggiorenni, in età potenzialmente fertile, sposati o conviventi, ed entrambi viventi.

La prima sentenza viene motivata con il miglior interesse di un bambino già nato, concepito in condizioni non consentite dalla legge italiana. Secondo la Corte, il piccolo viene tutelato al meglio solo se si prende atto della volontà di chi lo ha voluto, e la si riconosce legalmente fin dalla sua nascita: due donne, un consenso, due madri. La seconda sentenza invece ragiona sulle migliori tutele di un bimbo che deve ancora nascere, e per questo la Corte riconosce che la legge 40 configura come sua «migliore tutela in astratto» quella che prevede la presenza di un padre e una madre. I giudici hanno voluto chiarire che la legge potrebbe stabilire diversamente, se il Parlamento volesse, ma che l’attuale quadro giuridico è in linea con la Costituzione. Parrebbe tutto di buon senso. Ma il condizionale è d’obbligo.

Innanzitutto è evidente che i due differenti percorsi argomentativi della Corte portano a un corto circuito logico: se da un lato si può eliminare la figura paterna a chi è già nato, in nome del suo massimo interesse, al tempo stesso si riconosce che avere il padre e la madre è la situazione migliore per chi ancora deve nascere, e di conseguenza non è consentito alle donne single accedere alla Pma. Ma il vulnus introdotto dalla Corte è quello con cui si legalizza l’esistenza di due mamme introducendo il concetto di “madre intenzionale”. Finora nel nostro Paese si poteva essere genitori solo in due modi: con un legame biologico o adottivo. L’introduzione del concetto di genitorialità intenzionale ha un effetto dirompente nell’ordinamento giuridico italiano: si diventa padre e madre in forza di una volontà espressa, che non può che trovare attuazione mediante un contratto, con tutte le conseguenze del caso. Si completa quindi la trasformazione del consenso informato, che scompare come atto medico e diventa totalmente uno strumento giuridico, tramite il quale anche chi non contribuisce al concepimento o alla gravidanza sarà genitore di chi deve ancora nascere, alle condizioni stabilite dal contratto stesso, purché «abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale».

Un contratto che non si può che stipulare prima del concepimento e che quindi, in quanto tale, non può essere centrato su chi ancora non esiste ma, per forza di cose, è adultocentrico, basato sulla volontà e le intenzioni dell’adulto. E se quel che conta è l’intenzione, prima o poi se ne trarranno le conclusioni: perché solo due genitori? E se anche un terzo si proponesse nel caso in cui i primi due fossero in gravi difficoltà, magari per problemi di salute? E se quel che conta è l’intenzione di diventare genitori, per quale motivo non chiedere anche al nato, una volta diventato adulto, di confermare la sua, di volontà, di restare figlio? E se quel che conta è l’intenzione, perché presupporre una relazione affettiva della coppia, di matrimonio o convivenza? È sufficiente un contratto per crescere un figlio in accordo, anziché insieme.

Con la genitorialità intenzionale la Consulta si arrende alla logica del fatto compiuto, e di fatto legittima la volontà di diventare genitore a tutti i costi, aggirando la legge: come può essere questo il massimo interesse di chi nasce? C’è ancora spazio per rispondere alle preoccupazioni della Corte, che ha ravvisato alcune tutele da irrobustire nei confronti del nato da Pma eterologa non consentita nel nostro Paese, senza però modificare genitorialità e filiazione. Come già suggerito da diversi giuristi esperti in diritto di famiglia (ad esempio Emanuele Bilotti in una intervista su Tempi), si potrebbe tutelare il bambino dal punto di vista patrimoniale, coinvolgendo il partner del genitore biologico, nell’attesa che si avvii e si completi l’adozione in casi particolari, evitando quindi di introdurre nuove forme di genitorialità, come quella intenzionale, che stravolgono il quadro ordinamentale attuale.

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