martedì 23 novembre 2010
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Giuliano Dolce, 82 anni, è il direttore sanitario dell’Istituto Sant’Anna di Crotone, quello che tutti conoscono come "la clinica dei risvegli". Davanti alla porta della Suap, l’unità speciale di accoglienza prolungata, si volta ed afferma: «Ecco, io vorrei che Saviano venisse qui a vedere queste persone, a parlare con me».Cosa gli direbbe, professore?Lo considero una persona intelligente e su camorra e ’ndrangheta è molto documentato. Ma quando parla di accanimento terapeutico non ha le idee chiare.Cosa glielo fa pensare?Non c’è accanimento terapeutico su questi pazienti: qui non si prolunga un’agonia. I medici rispettano il rifiuto del malato a sottoporsi a terapie ma le persone che si trovano in queste condizioni non hanno bisogno di cure in senso clinico: devono solo essere assistite perché non sono autosufficienti. E non sempre nelle loro case c’è qualcuno che è nelle condizioni di farlo.Per questo ci sono le Suap?Noi siamo stati i primi ad attivarla. La gente che è qui viene seguita, si mantiene il decoro. Ma loro lo percepiscono?Rispetto a ciò che si credeva anni fa, gli esperti sono ora concordi nel dire che anche in stato di incoscienza il cervello è in grado di svolgere alcune funzioni. Ci sono delle isole che lavorano, solo che non bastano a farlo capire all’esterno. Ma ad esempio ascoltando alcune musiche queste persone provano emozioni. Lo provano le analisi strumentali. Basta registrare un elettrocardiogramma e analizzare la variabilità del ritmo cardiaco: possiamo dire che è il cuore che parla, quando loro non sono in grado di farlo. Noi li chiamiamo "stati di coscienza sommersa".È per questo che davanti alla commissione Affari sociali della Camera lei ha detto che il coma vegetativo non esiste?Questa espressione è il primo grande errore culturale nell’affrontare la questione. È un termine usato dagli anglosassoni, ma da loro "vegetativo" significa autonomo, da noi evoca le piante. Noi del Sant’Anna ci siamo fatti promotori di un incontro presso il ministero della Salute: insieme a 15 esperti europei abbiamo fondato un gruppo di lavoro e il primo passo è stato cambiare il nome in "sindrome della veglia arelazionale". Le persone che si trovano in queste condizioni sono infatti sveglie, anche se non si relazionano.Saviano afferma che gli individui hanno diritto di scegliere di non vivere in queste condizioni. Lei è d’accordo?Questo è il tema del testamento biologico e come ogni testamento, ciascuno lo può sottoscrivere ma deve anche poterlo modificare in qualsiasi momento. La gente che si trova ricoverata qui non è nelle condizioni di farlo, ma dopo tre giorni senza cibo e senz’acqua, qualsiasi persona con attività mentali normali cambierebbe idea sulla prospettiva di lasciarsi morire di sete.Perché ne è così sicuro?Perché si tratta di una morte dolorosissima, e scientificamente è stato provato che anche le persone in condizioni di veglia arelazionale avvertono il dolore. Nel 2010 in un Paese civile non si può far morire la gente in questo modo.Eluana Englaro e Terry Schiavo hanno sofferto così...Di certo sono state sedate. Ma questo è l’assurdo: da una parte si agisce creando una fonte di dolore, dall’altra si interviene clinicamente con l’antidolorifico. Questo va prima di tutto contro l’etica professionale: un medico deve rimuovere le cause di disagio, non sopprimerle. E poi procedendo in questo modo non si può certo parlare di abbandono attivo. Questa è un’eutanasia e per di più è attuata nel modo peggiore. Questo vorrei spiegare a Saviano.Piergiorgio Welby però era cosciente delle sue scelte.Infatti il suo caso è diverso da quello di Eluana. Ma ugualmente non poteva essere un anestesista a provocare la sua morte: il nostro codice deontologico non lo prevede. Io applico la bioetica razionale: non do medicine, non intervengo chirurgicamente. Ma non per questo provoco la morte. E provocarla sotto l’effetto di anestetici non è una soluzione perché equivale a un’iniezione letale. E questo la legge non lo ammette.Pensa che tutte queste polemiche siano finalizzate a far cambiare la legge?Dopo il caso di Eluana si è discusso molto su questa problematica. Si poteva fare una conferenza europea di esperti, elaborare un documento largamente condiviso per orientare le decisioni di chi deve legiferare. Invece si prosegue al buio.
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