lunedì 17 giugno 2013
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«La nostra è una battaglia di civiltà, non confessionale. Testimoniamo che è possibile prevenire l’aborto con percorsi alternativi: questa è la missione per cui i Centri di aiuto alla vita sono nati e che vogliamo ribadire a stretto contatto con il servizio pubblico. Da questo deriva la scelta privilegiata di essere presenti in ospedale, cioè là dove gli aborti vengono fatti». Teresa Ceni Longoni, presidente del Cav di Abbiategrasso-Magenta (e componente del direttivo di Federvita Lombardia), richiama le ragioni profonde dell’impegno in favore della vita («quelle per cui i Cav sono nati nel 1975») per ripetere che occorrono non solo dedizione e fatica, ma anche professionalità e competenza. «E il problema principale – sottolinea Teresa Ceni – non sono i soldi. Certamente servono, ma di fronte alla donna che non sa se tenere il figlio, conta di più il percorso di accettazione interiore che riusciamo a farle maturare».Il Cav è nato ad Abbiategrasso nel 1987: «Fu una felice intuizione dei soci fondatori – racconta l’attuale presidente – quella di essere presenti in ospedale, con un regolare rapporto con la Usl: è stato il secondo Cav in Italia. Questo ci ha permesso di entrare subito in stretto contatto con il servizio pubblico, perché riteniamo che di questa battaglia di civiltà le istituzioni si debbano fare carico». Nel 2002 è nata la sede di Magenta e nel 2012 quella di Rho, in entrambi i casi in ospedale: «E in posizioni strategiche e visibili». Poli esterni agli ospedali - ma sempre in rapporto con enti pubblici - sono ancora un magazzino a Magenta, e due sedi a Rho e Marcallo con Casone (dove è stata aperta nel 2007, in accordo con il Comune, una culla per la vita; un’altra nel 2009 ad Abbiategrasso). «D’altra parte lavorare con il servizio pubblico ha esigito da noi una professionalità e una competenza che non si improvvisano. Per questo puntiamo molto sulla formazione: i nostri volontari seguono un corso certificato presso il Centro camilliano di Milano». Il Cav di Abbiategrasso-Magenta - partito con dieci soci e tre volontari - può contare oggi su circa 250 soci e 35 volontari: «Ogni anno se ne aggiunge un paio, che passa la nostra selezione». Il lavoro che li attende infatti è duro, «ma soprattutto il volontario deve condividere le nostre motivazioni: il no all’aborto è totale e senza eccezioni. Se una donna, a cui ho prospettato una serie di percorsi, di aiuti e di ipotesi alternative, intende interrompere la gravidanza, noi non la accompagniamo in ospedale perché - poverina - abita in cascina lontana dall’ospedale. Abbiamo però anche un servizio psicologico post-aborto». Una trentina sono i progetti Nasko in corso, un’ottantina le donne in carico: la popolazione che si rivolge al Cav di Magenta è in per lo più immigrata, ma le italiane sono vicine al 50%. Tra le nazionalità straniere, prevalenti sono marocchine, egiziane, albanesi, ucraine, ecuadoriane. "Certamente forniamo aiuti anche materiali - puntualizza Teresa Ceni - ma non crediamo che l’aborto si risolva solo con i soldi. E temiamo il tentativo "sottile" di dirottare i Cav su forme di assistenza che non sono il compito principale per cui siamo nati. Per altre necessità facciamo rete con altri servizi sul territorio, dalle Caritas ai banchi alimentari, ai servizi sociali comunali». «La nostra disponibilità è amplissima: anche a Ferragosto riceviamo richieste di colloqui. E una delle maggiori soddisfazioni – conclude Teresa Ceni – è vedere che le "nostre" donne si fanno mediatrici culturali, sia indirizzandoci connazionali in difficoltà, sia traducendo il vademecum che abbiamo realizzato per fornire consigli pratici di puericultura».
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