venerdì 7 giugno 2013
​Alla Consulta le norme per il cambio di sesso. Accolto il ricorso di una coppia emiliana, in cui il marito è diventato donna. Ma, oltre il caso specifico, si intravvede l’apertura ai matrimoni gay. (Francesco Riccardi)
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La legge è di una chiarezza esemplare. «La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso (...) provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso». Ma per la prima sezione civile della Cassazione, presieduta da Maria Gabriella Luccioli, sugli articoli 2 e 4 di questa norma (legge 164/1982) ci sono dubbi di legittimità costituzionale. Da qui un’ordinanza depositata ieri, nella quale si chiede alla Consulta di pronunciarsi. Richiesta che, al di là del singolo processo, rischia di apparire come un nuovo tentativo di legittimare il matrimonio tra omosessuali o, meglio, tra persone dello stesso sesso.La vicenda nasce dal caso di una coppia emiliana, nella quale il marito dopo alcuni anni ha intrapreso l’iter medico e giuridico per il cambiamento di sesso. Una volta concluso il procedimento, nel 2009 al momento della registrazione della rettifica di sesso, l’ufficiale civile dell’anagrafe del Comune di Bologna aveva fatto cessare d’ufficio, così come appunto prevede la legge 164, gli effetti del matrimonio. La nuova "lei" e sua moglie si erano però opposte e in primo grado il tribunale aveva dato loro ragione, sostenendo in sostanza che solo la pronuncia di un tribunale può determinare il divorzio di una coppia. La Corte d’appello di Bologna, invece, accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno, aveva ribaltato il verdetto spiegando che «consentire il permanere del vincolo matrimoniale (...) significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimità: la diversità sessuale dei coniugi».La Cassazione ora – sollevando la questione alla Corte costituzionale – sostiene che lo scioglimento del vincolo matrimoniale imposto alla persona che cambia sesso «mina alla radice il principio di autodeterminazione del soggetto» intenzionato a cambiare sesso «conseguendo a tale opzione la eliminazione del diritto alla vita familiare, realizzato mediante la scelta del vincolo matrimoniale». Secondo l’ordinanza, firmata dalla presidente Luccioli, tale lesione del diritto «appare ancor più accentuata nei confronti dell’altro coniuge, costretto a subire gravi conseguenze sulla sua sfera emotiva e sull’assetto giuridico delle proprie scelte relazionali dalla rettifica di sesso operata dall’altro coniuge», con l’effetto di rimanere «totalmente privo di tutela per effetto dello scioglimento automatico del vincolo». Il divorzio imposto costituisce, quindi, secondo i giudici, «un’ingerenza statuale sulla volontà individuale nell’esercizio del diritto personalissimo allo scioglimento del matrimonio» dal quale i coniugi non possono neppure difendersi. «Le scelte appartenenti alla sfera emotiva e affettiva costituiscono il fondamento dell’autodeterminazione» e il matrimonio «è fondato in via esclusiva sul canone indefettibile del consenso», scrivono ancora i magistrati. Per questi motivi, la prima sezione civile della Cassazione pone il dubbio della legittimità della legge 164 in ordine agli articoli 2, 3, 24 e 29 della Costituzione.L’ordinanza, però, non si limita a ritenere potenzialmente illegittima la cessazione automatica del matrimonio tra due persone divenute dello stesso sesso. Ma, nella sua stesura, pare minare alla base l’istituto del matrimonio così come lo conosciamo da secoli e come scolpito nella nostra Carta fondamentale. Dando ormai per "acquisito" che la Corte costituzionale con la sentenza 138 del 2010 e la Corte europea dei diritti dell’uomo (24 giugno 2010 caso Schalk e Kopf) abbiano stabilito che «non sussiste un vincolo costituzionale (art. 29 Costituzione) o proveniente dall’articolo 12 della Cedu in ordine all’esclusiva applicabilità del modello matrimoniale alle unioni eterosessuali». E che «il carattere dell’eterosessualità non costituisce più, di conseguenza, un canone di ordine pubblico né interno né internazionale».«Non è così», replica a riguardo Paolo Papanti Pellettier, ordinario di Diritto civile all’Università di Tor Vergata. «La definizione della famiglia come "società naturale  fondata sul matrimonio" fa espresso e immutato riferimento al vincolo tra persone di sesso diverso, così come accade in natura, appunto. Lo stesso rapporto di coniugio è riconducibile solo a un uomo e una donna e rimanda certamente alla tutela della procreazione, dalla quale sono naturalmente escluse le coppie dello stesso sesso. In questo senso si parla di ordine pubblico, così come la necessità che gli sposi siano di sesso diverso è immanente al sistema e desumibile dall’intero complesso dell’ordinamento». Eppure l’ordinanza pare prefigurare un assetto giuridico completamente diverso. «Da tempo sono stati operati dei vulnera al matrimonio civile e con diverse ordinanze e sentenze i giudici, anziché limitarsi all’applicazione della legge, hanno finito per sovrapporre all’ordinamento un loro orientamento, un modello ideologico di famiglia, diverso rispetto a quello previsto dalla stessa Costituzione». Non a caso, ieri, l’Arcigay ha subito salutato l’ordinanza come un passo avanti verso l’approvazione delle nozze tra omosessuali.
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