giovedì 13 luglio 2017
Oltre cento i bambini affetti da patologie rare o gravissime accolti lo scorso anno. Una scelta etica prima che scientifica. Il cardinale Bassetti: «Come si fa a non ascoltare il grido dei genitori?»
All'ospedale Bambino Gesù una speranza per tutti i Charlie del mondo
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Tutto pronto al Bambino Gesù di Roma per accogliere il piccolo Charlie. Se i giudici inglesi dovessero concedere il via libera per il trasferimento, l’ospedale pediatrico vaticano metterebbe in atto i vari passaggi per la procedura di accoglienza attentamente verificata in questi giorni alla luce del protocollo internazionale. Non una strada certa per una guarigione, di cui nessuno ha mai parlato. Ma un percorso terapeutico scientificamente fondato per tentare tutto ciò che la ricerca medica può oggi offrire a proposito del trattamento di una patologia complessa e sfuggente come la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale.

Sul caso è intervenuto ieri anche il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: «La vita va difesa, va favorita, va aiutata fino in fondo, quindi siamo profondamente alleati di questi genitori», ha detto Bassetti in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000. «Io dico: ma come non ascoltare il grido di due genitori che – ha aggiunto il presidente della Cei – invocano in fondo ogni mezzo per salvare la vita del loro figlio? E grazie a Dio c’è stato un ascolto di questo grido, non solo da parte della Chiesa ma anche di tanta parte dell’opinione pubblica. Nessuno ha il diritto di intervenire finché ci sono delle condizioni di vita, quindi finché c’è una possibilità di vita umana».

Proprio in questa prospettiva ieri pomeriggio la presidente Mariella Enoc si è confrontata per ore con i responsabili clinici e scientifici dell’ospedale vaticano perché – nel caso in cui arrivasse da Londra la buona notizia – tutto funzioni al meglio. Un’attenta verifica tecnica perché ogni aspetto della complessa macchina ospedaliera sia adeguato agli elevatissimi parametri professionali richiesti da un impegno così difficile. Accanto all’impegno medico, quello – altrettanto importante – di carattere umano, perché si tratta in ogni caso di stare vicino a una famiglia che ha già sulle spalle lunghi mesi di sofferenza. E occorre prepararsi anche ad accompagnare il piccolo verso un esito infausto nel caso in cui le terapie non fornissero risultati soddisfacenti. Al termine della riunione, vista la delicatezza della situazione e il penoso interrogativo legato alla valutazione dei magistrati londinesi, nessuno ha voluto avanzare pronostici. Si attende e si spera.

Del resto il Bambino Gesù non è certo nuovo a imprese in cui l’elevatissimo contenuto scientifico dell’intervento si intreccia al carico emotivo, alle attese di una famiglia, al mistero che incombe su quella zona grigia che insiste tra vita e morte. Soltanto lo scorso anno l’ospedale romano ha accolto come "casi umanitari" oltre cento bambini provenienti da vari Paesi poveri del mondo (Somalia, Marocco, Costa d’Avorio, Benin, Kosovo, Nepal, Territori palestinesi). Piccoli affetti da una lunga serie di patologie rare o gravissime, Problemi che, in ogni caso, non avrebbero potuto essere risolti nelle zone d’origine. Il Bambino Gesù non solo ha accettato la sfida – spesso ai limiti delle attuali conoscenze mediche – ma si è accollato interamente le spese di trasporto, cura e degenza. A dimostrazione che la buona battaglia ingaggiata per il piccolo Charlie non è una decisione estemporanea ma rappresenta una prassi tutt’altro che straordinaria per gli specialisti romani. Ciò che in queste ore viene offerto e programmato per il bambino londinese è già stato fatto e lo sarà ancora in futuro per bambini affetti da malattie simili o altrettanto gravi, anche provenienti dalle aree più povere del mondo. Ai piccoli Charlie di tutto il mondo, specialmente a coloro che nascono in situazioni ambientali o sociali disagiate, vengono offerte le stesse speranze.

Non a caso proprio martedì la presidente Enoc è stata a Bangui, nella Repubblica Centroafricana, per la posa della prima pietra di un ospedale pediatrico che sarà sostenuto dal Bambino Gesù. Facile prevedere che, anche in quel caso, i medici, i tecnici e tutti gli altri professionisti che saranno chiamati a operare in quel contesto dovranno risolvere problemi enormi in situazioni tutt’altro che ideali. Ma il confronto con questa complessità è parte integrante della missione di un ospedale che, proprio perché fondato sulle radici del Vangelo, si muove secondo presupposti che non sono e non possono essere quelli del semplice rapporto tra costi e benefici.

È evidente che il Bambino Gesù non possa intervenire in tutti i casi in cui, in ogni parte del mondo, ci sono bambini gravemente malati e senza possibilità di cura. Ma è altrettanto vero che i medici dell’ospedale decidono spesso di offrire le loro competenze anche quando le evidenze scientifiche sembrerebbero escludere qualsiasi possibilità di guarigione.

Del tutto fuorviante quindi pensare che la disponibilità di accoglienza e di cura offerta al piccolo Charlie dal Bambino Gesù sia stata decisa solo perché questo caso doloroso è accompagnato da un grande clamore mediatico. La scelta, come detto, risponde a criteri del tutto diversi, che vanno letti anche come una sfida a quella medicina che si muove soltanto quando cura e assistenza appaiono anche economicamente sostenibili.

In questi giorni la mamma del piccolo Charlie – dialogando con i responsabili del Bambino Gesù – avrebbe chiarito che il suo desiderio non sarebbe tanto quello di sperare nella guarigione del figlio, forse umanamente impossibile, ma di contribuire comunque alla ricerca su una patologia così rara. Sbagliato però parlare – sempre nel caso in cui i giudici inglesi permettano il trasferimento a Roma – a un intervento solo di carattere sperimentale oppure per alimentare false illusioni. L’assistenza e le terapie che potrebbero essere fornite dal Bambino Gesù sarebbero un autentico percorso finalizzato alla cura o comunque ad alleviare una sofferenza sempre più difficilmente sopportabile. L’ipotesi non sarebbe quindi quella di prolungare con ogni mezzo una situazione che potrebbe configurarsi come accanimento terapeutico ma di tentare concretamente una terapia innovativa per il bene del piccolo.

Sempre che i giudici di Londra non decidano di spegnere in modo irreversibile le speranze di una famiglia e i progetti terapeutici che, pur pionieristici, sono stati messi a punto con generosità pari soltanto al rigore scientifico.

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