giovedì 26 novembre 2015
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Harold Cassidy aveva appena impegnato il suo ufficio legale per l’equivalente di un milione di dollari di ore difendendo pro bono la prima madre surrogata americana che aveva voluto tenere il suo bambino. Era il 1988, e la Corte suprema del New Jersey aveva stabilito all’unanimità (nel famoso caso «Baby M») che i contratti di maternità surrogata violavano ogni legge dello Stato sui diritti delle madri, dei bambini e sulle adozioni. Quasi 30 anni dopo, l’avvocato si trova al centro di una coalizione determinata a far approvare «con urgenza» leggi che arginino l’incontrollata crescita del business degli uteri in affitto.Da dove viene questa urgenza, avvocato?Negli ultimi anni vari Stati Usa hanno approvato leggi che legalizzano o tollerano la maternità surrogata, altri sono sul punto di farlo. È avvenuto senza che l’opinione pubblica se ne accorgesse. Non me l’aspettavo: dopo il caso Baby M pensavo che gli Stati avrebbero proibito l’affitto di uteri e mi sono occupato d’altro. Ma negli anni ’90 non se n’è più parlato, mentre il business della riproduzione diventava sempre più redditizio via via che la scienza si evolveva. Ora il naturale desiderio umano di avere figli è diventato oggetto di un indiscriminato sfruttamento. In che modo ha ripreso a impegnarsi?Con alcuni colleghi ho redatto un disegno di legge che punisce la maternità surrogata commerciale e scoraggia quella gratuita. Ora, con l’aiuto di altri avvocati, associazioni di difesa della vita, dei diritti umani e gruppi di femministe, sto facendo azione di lobby sui legislatori dei singoli Stati. Stiamo suscitando un dibattito nazionale, organizzando convegni e scrivendo commenti sui giornali.Che cosa motiva questo suo attivismo?Nella sentenza della Corte nel caso Baby M c’è un passaggio che riassume la mia posizione: «In una società civile ci sono alcune cose che il denaro non può comprare. In America abbiamo deciso molto tempo fa che il fatto che un comportamento pagato sia volontario non lo rende automaticamente buono o immune da regolamentazione o divieti. Ci sono, insomma, valori che la società ritiene più importanti del mercato».Quali furono le conseguenze di quella sentenza?Il New Jersey creò una Commissione di Bioetica che studiò per tre anni la questione e alla fine condannò ogni forma di maternità surrogata, raccomandando ai legislatori di scoraggiare la pratica, con sanzioni per gli scambi commerciali e regole che proteggano la madre alla nascita del bambino pagato dalla coppia committente. La relazione ebbe forti echi in Europa, dove poco dopo molti Paesi proibirono la maternità surrogata. Cosa prevede oggi la legge americana a livello federale?Il rapporto di una donna che partorisce con il suo bambino è protetto dalla Costituzione. A livello statale, le leggi sull’adozione permettono di rescindere la potestà di una madre ma solo dopo l’intervento di un giudice e un’udienza in tribunale. Non ci può essere alcuna rinuncia a tale diritto prima che il bambino sia nato. La maternità surrogata tronca quel rapporto prima che il bambino sia stato concepito. Inoltre è un reato in tutti gli Stati offrire denaro in sede di adozione.Eppure ci sono Stati americani che per legge riconoscono i contratti di maternità surrogata come validi, o tribunali che li tollerano. Perché questa contraddizione?Nell’ambito del diritto di famiglia il potere del governo federale è limitato al rispetto dei princìpi della Costituzione. Ci vuole molta determinazione e molto denaro per far arrivare una legge statale di fronte alla Corte suprema e farla dichiarare incostituzionale, e in questo ambito il denaro sta dalla parte delle cliniche della fertilità. Inoltre, per confondere le acque, una clinica può usare un medico in Ohio che trasferisce un embrione nell’utero di una donna del New Jersey, mentre una donna in Kansas ha donato ovuli, un uomo in Pennsylvania ha donato lo sperma e i futuri genitori vivono in California. Per questo vogliamo intervenire a livello statale.Il governatore di New York, Andrew Cuono, ha proposto di legalizzare la maternità surrogata in nome del «diritto di tutte le coppie, anche gay, di avere un figlio». Cosa ne pensa?Dal punto di vista legale è un concetto ridicolo. Ho difeso molte madri surrogate e nessun tribunale ha mai riconosciuto il diritto di una coppia di avere un figlio. È interessante che proprio in tribunale emerga la natura assurda della maternità surrogata. Nel caso Baby M, ad esempio, i coniugi committenti avevano presentato un esperto che ha testimoniato che non si può parlare di madre surrogata ma di utero surrogato e che un organo non ha patria potestà. Ricordo che la stampa ebbe una reazione molto negativa e che ricevemmo centinaia di telefonate di persone che ci chiedevano come aiutarci. In un altro famoso processo, chiamato «Agr», un esperto sostenne che le madri non forniscono alcun beneficio ai bambini e che occorre quindi creare una classe di donne da allevamento. La sua testimonianza ci fece vincere il caso.
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