sabato 5 settembre 2020
Negli Stati Uniti l’allarme per la pillola abortiva in passato è stato altissimo, rilanciato anche da testate come il New York Times, giornale liberal che non è certo pro-life
«Ru486, un pericolo per la salute», 20 senatori Usa chiedono il ritiro

Archivio/Ansa

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Al dibattito sulla Ru486 si aggiunge ora la lettera con cui il senatore repubblicano Ted Cruz, insieme a diciannove suoi colleghi del Senato statunitense, hanno chiesto alla Food and Drug Administration (Fda) – l’agenzia di farmacovigilanza Usa – di classificare la pillola abortiva come «un pericolo imminente per la salute pubblica» che rappresenta «una significativa minaccia di danno».
Diverse le motivazioni addotte, a partire dalla necessità di bloccare il commercio online di prodotti abortivi che sta proliferando in violazione di tutti i requisiti della Fda e ha portato ad abusi come quello di Jeffrey Smith, che ha cercato di far abortire la sua fidanzata somministrandole a sua insaputa la pillola acquistata sul web. Ma soprattutto i senatori sono preoccupati dell’uso strumentale della pandemia Covid-19 fatto dalle lobby abortiste per aggirare le indicazioni della Fda sull’uso dei farmaci che inducono l’interruzione della gravidanza, e promuovere così l’aborto-fai-da-te.

I requisiti federali per l’accesso all’aborto chimico sono descritti nei Rems («Risk Evaluation Mitigation Strategy»), cioè piani di valutazione e riduzione del rischio, richiesti dalla Fda per i farmaci più pericolosi in termini di effetti avversi, in modo che i benefici superino i rischi. Il 20 luglio il giudice distrettuale statunitense Theodore Chuang, nominato da Obama, citando i rischi del contatto faccia a faccia in emergenza sanitaria, ha accettato di revocare temporaneamente uno dei principali requisiti Rems, cioè la necessità che la pillola abortiva sia prescritta e dispensata di persona. La Corte d’Appello del 4° distretto ha rifiutato di sospendere l’ordine del giudice, mentre l’amministrazione Trump ha presentato un appello alla Corte Suprema, esortando la Fda a riattivare i requisiti di sicurezza previsti.

I senatori repubblicani ritengono «questo sleale attivismo giudiziario una grave violazione della separazione dei poteri, che pregiudica l’autorità statutaria della Fda nel garantire la sicurezza dei farmaci». Inoltre invitano la stessa Fda a rivedere un trial clinico in corso, promosso da Gynuity Health Project, gruppo di ricerca che ha legami con la ben nota organizzazione per il controllo delle nascite Planned Parenthood.

La sperimentazione ha come titolo «Feasibility of Medical Abortion by Direct-to-Consumer Telemedicine», cioè «Fattibilità dell’aborto medico con la telemedicina diretta al consumatore» (è partita nel 2016 con durata di cinque anni) e prevede la spedizione della pillola abortiva per posta. Lo studio è aperto anche alle giovanissime, a partire dai dieci anni di età. I senatori segnalano anche che come soggetti di ricerca per il secondo semestre di gravidanza la stessa organizzazione coinvolge donne del Burkina Faso, Paese dove non è certo facile accedere a servizi sanitari in caso di eventi avversi come emorragie o infezioni.

Sono infatti soprattutto gli eventi avversi dell’aborto chimico a preoccupare i firmatari della lettera, che ricordano la necessità di escludere la presenza di una gravidanza extrauterina da parte del medico che prescrive la Ru486, condizione che può portare alla morte perché la pillola non è efficace: è stata proprio la Fda a informare che fino al 2018 almeno 97 donne americane hanno iniziato la procedura abortiva farmacologica mentre era in corso una gravidanza extrauterina che i medici non sono stati in grado di diagnosticare, e che due di queste sono morte.

Ma come è possibile fare diagnosi di questo tipo con la telemedicina? Non solo: oltre le 24 morti riportate sempre dalla Fda, si fanno presenti le segnalazioni di 4.195 effetti avversi come emorragie, forti dolori addominali e infezioni gravi. I senatori specificano che «gli eventi avversi sono notoriamente sottovalutati, il che rende impossibile stabilirne il vero numero. Inoltre, dal 2016 ai produttori della pillola abortiva è richiesto solamente di riportare le morti delle donne», mentre per gli eventi avversi le segnalazioni restano facoltative.

Le donne in genere, in presenza di emorragie, non vanno nelle cliniche dove è stata prescritta la pillola ma si recano nei pronto soccorso o in ospedale, e questo «solleva dubbi anche sui 4.195 eventi avversi riportati dai produttori prima delle modifiche del 2016», cioè prima della sorprendente eliminazione della registrazione degli eventi avversi che non siano fatali.

Negli Usa l’allarme per la pillola abortiva in passato è stato altissimo, rilanciato anche da testate come il New York Times, giornale liberal che non è certo pro-life: basti ricordare che l’11 maggio 2006 ad Atlanta, in Georgia, si è tenuto un workshop sulle infezioni da Clostridium, promosso dalle più importanti autorità sanitarie americane: la stessa Fda, ma anche Cdc (Centers for disease Control and Prevention) e Nih (National Institutes of Health), con un’ampia sezione dedicata specificatamente alle morti a seguito di aborto farmacologico.

C’era stato un cluster di morti in California, tutte dovute alla rara infezione da Clostridium Sordellii, ma nessuna di queste è stata segnalata dalla farmacovigilanza: sono venute alla luce solamente tramite le denunce dei familiari, che in un caso addirittura hanno richiesto un’autopsia privata. Il workshop non ha raggiunto conclusioni certe, e la volontà di mettere tutto a tacere ha avuto velocemente la meglio. Ma sottotraccia, nel silenzio, la pillola continua a fare danni, e la politica oggi riporta alla luce una questione sepolta.

Il problema sta nel metodo: quello farmacologico è un metodo che inevitabilmente, se non si prevede un ricovero di almeno tre giorni, riporta l’aborto nel privato, fuori non solo dalle garanzie offerte dall’ospedale ma da ogni controllo sanitario e persino statistico. È per questo che sembra assurdo citare, come ha fatto il nostro Consiglio superiore di sanità nel suo ultimo parere, l’Istat come fonte dei dati sugli eventi avversi nell’uso della Ru486.

Una volta che la donna torna a casa, non solo il dolore e le complicazioni restano un problema tutto suo, che non sarà mai registrato da fonti ufficiali, ma persino eventi più gravi, persino le morti, difficilmente emergeranno. Vedremo se l’esperienza americana, dopo il plateale intervento dei senatori, sarà ignorata in Italia. Temiamo di sì. Perché la diffusione della pillola abortiva è una bandiera ideologica che maschera uno scopo molto pratico: eliminare la scomoda gestione degli aborti dagli ospedali e dalla sanità pubblica. La maternità, sia nei suoi aspetti luminosi che in quelli più drammatici, non è un tema che appassioni la politica. Si sa, sono "cose di donne".

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