venerdì 14 giugno 2019
Dopo il tragico suicidio di Noa, la 17enne olandese depressa che si è lasciata morire senza che i medici la fermassero, emerge l'amara realtà di un Paese dove l'eutanasia è diventata prassi e costume.
L'immagine di Noa pubblicata nel suo profilo Facebook dopo la morte

L'immagine di Noa pubblicata nel suo profilo Facebook dopo la morte

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La morte dell’olandese Noa Pothoven, 17 anni, ha sconvolto l’opinione pubblica di tutto il mondo perché ha portato alla luce, ancora una volta, la sofferenza dei giovani colpiti da affezioni psichiche devastanti. Al di là delle polemiche e dei dubbi sulla sua morte, il problema di base rimane. Il Ministero della Salute olandese ha diffuso un comunicato stampa annunciando che sarà aperta un’indagine sui motivi del suo decesso, che per ora si esclude possa essere legato a una pratica eutanasistica. Noa si è lasciata morire di fame e di sete, e nel caso si riscontrasse il coinvolgimento di un medico per accellerare la sua morte la commissione di controllo Rte dovrà valutare, secondo la legge sull’eutanasia entrata in vigore nel 2002, se sono state rispettate le condizioni previste, come il dolore insopportabile per una malattia inguaribile.
Tuttavia una cosa è certa: in un Paese dove è possibile ricorrere all’eutanasia in forza di una legge esistono preoccupanti inadempienze nel campo delle malattie psichiatriche a livello di assistenza sanitaria. La stessa Noa affermò, durante un’intervista televisiva: «È terribile: se hai il cuore malato vieni operato in poco tempo. Ma se hai una gravissima, acuta malattia psichica e chiedi aiuto ti rispondono "peccato, non abbiamo posto, si metta in lista d’attesa"». Noa aveva sollevato un’inquietante problema: lei che aveva sofferto di anoressia dopo uno stupro subìto da parte di due uomini sapeva che in Olanda chi è affetto da disturbi dell’alimentazione deve attendere a lungo prima di essere aiutato. Secondo i recenti dati dell’istituto centrale dell’assistenza psichiatrica Ggz, nel 2018 sono stati 1.050 i giovani colpiti dal suo stesso disturbo che hanno dovuto attendere in media 13,7 settimane prima di essere accolti in una struttura, mentre sono 15.000 i pazienti psichiatrici che attendono più di 19 settimane prima di ricevere le cure necessarie. La madre di Noa ha detto che la vita della figlia è stata un inferno per i continui tentativi di suicidio e i ricoveri coatti, persino in isolamento, che l’avevano fatta sentire ancora più disperata: come lei stessa aveva scritto nell’autobiografia Vincere o imparare, voleva «vivere, ma vivere bene, senza patire, elaborando il lutto dello stupro e del malessere esistenziale». Resta l’interrogativo: perchè Noa alla fine ha deciso di andarsene? Quante ragazze, disperate come lei sono morte per eutanasia? È il caso di Ximena Knol, 19 anni, morta dopo aver ingerito una polvere letale pubblicizzata da un’associazione che si chiama Laatse wil, «L’ultima volontà». Una tragedia che aveva indotto il premier Rutte a «occuparsi seriamente» del caso proibendo vendita e somministrazione del veleno.

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