giovedì 21 marzo 2019
Niente udienza pubblica, solo camera di consiglio: segno che la Corte costituzionale sarebbe orientata a respingere il primo ricorso di un tribunale contro la legge sul fine vita. Atteso il verdetto.
Il Palazzo della Consulta a Roma

Il Palazzo della Consulta a Roma - ANSA

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Non è stata discussa nell’udienza pubblica di martedì 19marzo ma solo nella camera di consiglio del giorno successivo. Così – anche se di ufficiale non c’è ancora nulla – il destino della questione di legittimità costituzionale sui poteri che la legge 219 sul biotestamento affida agli amministratori di sostegno sembra segnato: «In questi casi – spiega infatti l’avvocato Livio Podrecca, presidente dei Giuristi cattolici di Piacenza – solitamente la Consulta rigetta per manifesta infondatezza la questione, non censurando il testo della legge».
La questione giuridica su cui deve esprimersi la Corte prende le mosse da Pavia, dove un giudice tutelare – Michela Fenucci – si trovava innanzi a un malato in stato vegetativo, nell’interesse del quale era chiamata ad attribuire la rappresentanza sanitaria all’amministratore di sostegno. Ma attenzione: la legge 219, varata a fine 2017, prevede (anche) che questa figura possa decidere se far morire la persona sottoposta alla propria tutela, anche senza permesso del giudice. A meno che il paziente non abbia lasciato le sue volontà di fine vita (le Dat), oppure che il medico dissenta dalla volontà dell’amministratore e ricorra al tribunale. In questo impianto normativo Fenucci vede il mancato rispetto dei diritti personalissimi propri di ognuno, in primis alla vita e alla salute, evidenziando una stranezza della disciplina: per mettere validamente in atto operazioni patrimoniali, come la vendita di immobili, l’amministratore di sostegno deve munirsi dell’autorizzazione del giudice tutelare, per porre fine alla vita del suo amministrato invece no.
L’ordinanza di rimessione alla Consulta da lei firmata analizza poi un’altra «trama normativa contraddittoria tutta interna alla legge»: mentre la 219 nel suo complesso esalta l’autodeterminazione dell’individuo la disposizione sull’amministratore di sostegno mortifica del tutto la volontà della persona. Volontà che, secondo il magistrato, andrebbe quantomeno ricostruita «attraverso il ricorso a una pluralità di indici sintomatici, di elementi presuntivi, mediante l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura». Se avesse seguito il normale procedimento, la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere discussa martedì, presenti i legali dell’amministratore di sostegno, l’Avvocatura di Stato (costituita in giudizio) e l’Unione giuristi cattolici di Pavia e Piacenza, rappresentate da Podrecca. Invece, nulla di tutto ciò: ieri ad affrontare la questione sono stati i soli giudici costituzionali, a porte chiuse.

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