sabato 18 dicembre 2021
Accordo quasi unanime del Parlamento di Vienna che col solo no dei nazionalisti di Fpö ha dato seguito a una sentenza della Corte costituzionale. La Chiesa austriaca: più solidali per renderla inutile
L’Austria legalizza il suicidio assistito
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Col voto favorevole di tutti i partiti di governo (Popolari e Verdi) e di opposizione (Socialdemocratici e Liberali) e il solo no della destra nazionalista del Fpö, il Parlamento austriaco ha legalizzato giovedì 16 dicembre il suicidio assistito per i pazienti maggiorenni affetti da malattia terminale oppure cronica e fortemente debilitante senza prospettiva di guarigione. La volontà di farsi aiutare medicalmente a darsi la morte dev’essere esplicitamente dichiarata e poi confermata dopo 12 settimane prima di procedere alla pratica di morte volontaria, previo parere favorevole di due medici, uno dei quali specialista in cure palliative. Si esclude l’eutanasia così come l’accesso ai minorenni. La decisione del Parlamento segue di un anno la sentenza con la quale la Corte costituzionale austriaca aveva dichiarato illegittima la parte del Codice penale che punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque aiuta un’altra persona che glielo chieda a uccidersi perché una simile disposizione violerebbe l’autodeterminazione dei cittadini. I giudici avevano fissato la fine del 2021 come termine perché il Parlamento recepisse la sentenza prima che la parte di legge cassata decadesse. La legge sul suicidio assistito entra in vigore il 1° gennaio.

Durante il dibattito parlamentare i vescovi austriaci avevano fatto sentire la loro voce, preoccupati da «carenze inaccettabili» nelle garanzie della legge per prevenire abusi, denunciando che la deriva austriaca stava ricalcando quella di tutti i Paesi nei quali la procedura di morte volontaria è stata legalizzata: «In brevissimo tempo – aveva dichiarato il presidente monsignor Franz Lackner,
arcivescovo di Salisburgo – il caso eccezionale diventa una normalità socialmente accettata e l’esenzione dalla pena un diritto esigibile». La Conferenza episcopale austriaca aveva contribuito al confronto politico chiarendo che la Chiesa «si impegna con tutte le sue forze per la protezione globale della vita». Tra le lacune rimproverate alla legge, la mancata previsione nel collegio medico della figura di uno psichiatra. Al centro delle critiche della Chiesa austriaca il fatto che la legge rende praticabile e non perseguibile praticamente qualunque suicidio. La legge asseconderebbe «l’illusione che l’unica forma di vita che valga la pena di essere vissuta sia una vita piena e attiva, una vita "del fare" e di conseguenza ogni forma di mancanza o malattia è vista come un fallimento che non può essere tollerato».

Un giudizio confermato nella nota diffusa subito dopo il varo della legge, nella quale Lackner, pur riconoscendo «gli sforzi del legislatore per proteggere le persone dalla fretta e dall'errore» e per la «prevenzione del suicidio», ha espresso l’auspicio che a morire non siano i cittadini ma la legge «se noi come comunità di solidale riusciamo a impedire a chiunque in Austria di farne uso».

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