martedì 3 ottobre 2017
Gli amministratori delle 15 istituzioni belghe per malati psichici che fanno capo ai Fratelli della Carità e praticano l'eutanasia sono state invitate per un confronto finale in Vaticano.
Eutanasia, dai Fratelli della Carità ultima chiamata per il Belgio
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L’«ultima possibilità per allinearsi alla dottrina della Chiesa cattolica». Così i Fratelli della Carità definiscono in una nota l’invito rivolto alla loro istituzione cui fanno capo in Belgio 15 centri clinici disponibili a praticare l’eutanasia secondo la legge del Paese, a spiegare in Vaticano «la loro visione», un appuntamento «dopo il quale verrà presa una decisione conclusiva». Nello stesso comunicato si informa che il 29 settembre padre René Stockman, superiore generale della Congregazione fondata in Belgio nel 1807 e assai nota in tutto il mondo in particolare per la sua meritoria opera di assistenza a persone affette da disabilità mentale, «ha riferito alle competenti autorità in Vaticano sullo stato della questione riguardante l’offerta di eutanasia nelle istituzioni dei Fratelli della Carità in Belgio».

Le tappe della vicenda

La vicenda era nata in maggio dalla decisione del ramo belga della Congregazione di assecondare le eventuali richieste di porre fine anticipatamente alla vita dei pazienti ricoverati nelle loro strutture. Il superiore locale, padre Raf De Rycke, aveva precisato che l’eutanasia sarebbe stata eseguita solo in mancanza di «un trattamento alternativo ragionevole» e che ogni richiesta sarebbe stata esaminata con la «massima cautela». «Rispettiamo la libertà dei medici di effettuare l'eutanasia o no», aveva spiegato il religioso, appellandosi al fatto che la morte a richiesta «è garantita dalla legge» belga e che le cliniche fanno capo a un consiglio direttivo composto per i quattro quinti da membri laici. A chiedere alla Congregazione l’immediato cambiamento di rotta era stato il Papa, che in agosto – secondo quanto aveva riferito la Radio Vaticana – aveva chiesto ai religiosi di «non praticare più l’eutanasia negli ospedali psichiatrici da loro gestiti» entro la fine del mese, notificando attraverso la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata che «in caso di mancata adesione» avrebbero potuto seguire «severi provvedimenti canonici, fino alla scomunica». Padre Stockman in un'intervista ad Avvenire aveva ricordato che «un conto è la Congregazione dei Fratelli della Carità che si trova in Belgio, un altro è l’organizzazione che gestisce le strutture sanitarie» nel Paese, per poi sottolineare che era intervenuto su quest'ultima con una lettera al centro della quale c'erano quattro punti fermi: «Il rispetto per la vita è un valore assoluto. Secondo, non si può indicare l’eutanasia come “soluzione” a un malato che sia senza prospettive di guarigione. Terzo: l’eutanasia non può essere considerata alla stregua di un atto medicale. Quarto e ultimo punto: l’eutanasia non può essere praticata negli ospedali che si dicono legati alla nostra Congregazione religiosa».

"In nome di Dio"


L’11 settembre era giunta la risposta negativa dell’ente che dirige le cliniche belghe specializzate in disturbi psichici, il cui consiglio di amministrazione è composto da 3 religiosi e 12 laici. Pochi giorni dopo, il 20 settembre, padre Stockman aveva replicato al diniego giunto dal Belgio alla stessa richiesta del Papa con un’accorata lettera nella quale supplicava di recedere «in nome di Dio» da una condotta contraria alla missione e al carisma dell’istituto. Ora l’estremo tentativo di fermare un processo dal quale potrebbero derivare conseguenze assai gravi.
In Belgio l’eutanasia è legale da 15 anni. La legge, nata per rispondere a casi estremi di dolore insostenibile in malati terminali, si è via via estesa anche ad altri pazienti, inclusi quelli con disturbi psichiatrici e i minori. Ormai l’eutanasia è causa del 3% delle morti nel Paese.

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