venerdì 31 maggio 2019
Nel dibattito sulla legalizzazione di suicidio assistito ed eutanasia si fanno largo le tesi di chi vuole includere gli atti per causare la morte di un paziente tra le cure mediche di fine vita.
Dare la morte diventa un «atto medico»?
COMMENTA E CONDIVIDI

Se l’eutanasia fosse una richiesta di tanti malati terminali, o comunque inguaribili e gravemente sofferenti, i suoi sostenitori dovrebbero essere innanzitutto gli operatori sanitari degli hospice. Ma non vengono da lì i "casi" drammatici che in Italia hanno sollevato il problema della morte procurata: Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Fabiano Antoniani («dj Fabo») – pur nella radicale diversità delle situazioni – non erano in prossimità della morte e non vivevano in strutture sanitarie specializzate. Gli addetti ai lavori dicono piuttosto il contrario: quando l’offerta di cure palliative è adeguata nessuno chiede di farsi uccidere.
Cure palliative come alternativa alla morte medicalmente assistita, quindi? Ci sono tutti i presupposti, più che ragionevoli, ma nei Paesi dove l’eutanasia o il suicidio assistito sono legalizzati le cose non sembrano andare così. Perché?
Per capire cosa non funziona leggiamo un recente editoriale della rivista scientifica specializzata «Palliative Medicine», dove si spiega che la gran parte dei palliativisti nel mondo condivide la posizione dello European Association for Palliative Care White Paper (il Libro bianco dell’Associazione europea per le cure palliative) e della International Association for Hospice and Palliative care (l’Associazione internazionale per gli hospice e le cure palliative), che si oppongono all’eutanasia, ma con importanti eccezioni: in Belgio, Olanda e Lussemburgo la morte assistita è di fatto inserita all’interno del servizio delle cure palliative.
Insomma: l’eutanasia in quei Paesi è considerata un atto medico a tutti gli effetti, una sorta di palliazione estrema. Significativa la posizione del Belgio, dove è inclusa apertamente nel modello di «presa in carico integrale di fine vita». Nel 2003 la Federazione per le cure palliative delle Fiandre, nel suo documento ufficiale dedicato al tema, scrisse che «le cure palliative e l’eutanasia non sono alternative o antagoniste [...] l’eutanasia può [...] essere parte delle cure palliative», una posizione confermata e ulteriormente argomentata nel 2013.
Chiaramente questo cambia tutto: se è l’ultimo dei rimedi alla sofferenza a disposizione nel Servizio sanitario nazionale, allora dovrà essere organizzato come tale, e cioè deve poter essere offerto dal medico al paziente, e non partire dalla richiesta del malato; deve essere accessibile a tutti coloro che ne hanno bisogno, come lo sono le cure palliative, a prescindere dall’età e dalla capacità di dare il consenso; deve essere una prestazione professionale adeguatamente pagata e si deve formare il personale medico perché ce ne sia di disponibile a offrirla. I sostenitori parlano esplicitamente di «eu-euthanasia», cioè «buona eutanasia», letteralmente: una «eutanasia tecnicamente ben eseguita, nello spirito della presa in carico totale».
Altro che pendìo scivoloso: questa è legittimazione piena.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI