giovedì 13 maggio 2021
Il neo-presidente del Cnr: la pandemia ci insegna quanto siano determinanti ricerca e umanità
Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr

Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr - .

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«L’umanità del contatto con le persone fragili è impagabile, quando hai deciso di dedicare la vita a loro». Da un mese Maria Chiara Carrozza è presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), dopo aver trascorso tre anni quale direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi: «Dall’evoluzione avvenuta in questa pandemia dobbiamo cogliere le premesse di un rinnovamento tecnologico e culturale».

Cosa insegna la pandemia alla sanità e alla ricerca scientifica?
Questa pandemia, oltre che una tragedia per i lutti e i danni economici, rappresenta una sfida per la ricerca scientifica e per la società. Pensiamo alla messa a punto dei vaccini, così rapida, e all’adattamento dei farmaci già esistenti. Ma anche a come abbiamo dovuto e saputo trasformare l’economia e i servizi mediante la digitalizzazione. Dall’evoluzione avvenuta in questo periodo dobbiamo cogliere le premesse di un rinnovamento tecnologico e culturale. La trasformazione non può riguardare solo l’ambito lavorativo, la rimodulazione dei servizi o la didattica: deve entrare nelle nostre case, con la domotica, e deve investire la pubblica amministrazione, la sanità. Un esempio: rivoluzione digitale, robotica e intelligenza artificiale ci possono aiutare a colmare molte distanze sociali e interpersonali, specie aiutando i soggetti più fragili, con progetti di ricerca che puntano allo sviluppo di dispositivi e terapie sempre più avanzati nella riabilitazione e nell’assistenza di anziani e disabili, ai quali possiamo assicurare una migliore qualità di vita. La tecnologia e l’innovazione vengono troppo spesso paventate come qualcosa di disumanizzante, soprattutto per i rischi di un calo dell’occupazione, senza cogliere le prospettive di sviluppo che invece aprono. Con la pandemia, credo sia sorta una più diffusa consapevolezza dell’importanza della ricerca.

Come usare la quota del Pnrr stanziata per la ricerca di base?
La consapevolezza cui accennavo si deve tradurre in investimenti concreti che interessino tutta la filiera della ricerca: di base, competenze dei ricercatori, tecnologia. Abbiamo davanti molte sfide fondamentali, dalla transizione digitale ed ecologica alla formazione, dalla salute umana a quella del territorio. Le risorse del Pnrr che saranno investite nella ricerca costituiscono una chance importante anche per il Cnr, che ha dato un contributo importantissimo in questo periodo. Sul Pnrr sto facendo una valutazione, al fine di posizionare al meglio l’Ente: ci sono dei temi su cui possiamo dire e dare davvero molto. Una bussola potrebbe essere il piano strategico, gli obiettivi di sviluppo sostenibile in cui sono incluse tematiche ambientali, digitali, ecologiche.

Nell’area salute, su quali fronti si concentra lo sforzo del Cnr?
La lotta alla pandemia e la salute sono assi portanti del Cnr, la cui programmazione pluriennale della ricerca prosegue indipendentemente dal Covid, ma la situazione straordinaria che viviamo richiede risposte straordinarie. Quindi: compartecipazione alla ri- costruzione del sistema sanitario, partendo dalla medicina digitale, dalla telemedicina e dalla transizione digitale del Paese. Inoltre, è prioritario l’ambiente. Salute e ambiente sono sfide che si vincono solo con la collaborazione tra settori diversi. E al Cnr non solo abbiamo competenze di eccellenza in molti campi, ma siamo l’unico ente in Italia che possa combinarle assieme. Da qui deriva la nostra grande responsabilità.


«Rivoluzione digitale, robotica, e intelligenza artificiale possono migliorare molto la qualità della vita dei soggetti più fragili» «Le sfide sanitarie e ambientali si vincono con la collaborazione Occorre sempre più la capacità di combinare le competenze» Un centro di riabilitazione della Fondazione Don Gnocchi di Milano. Sotto: Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr

La robotica e l’intelligenza artificiale in medicina e riabilitazione: quali conquiste attendersi nel prossimo futuro?
Ciò che caratterizza il robot è la capacità di movimento e la possibilità di adattarlo al compito. Se la meccanica è della massima importanza, è cruciale anche lo sviluppo dell’informatica e della teoria dei controlli, i sensori che permettono la misura, l’accuratezza e la gestione della velocità dello spostamento grazie alla parte computazionale. In questo ambito vi è stata una maturazione eccezionale, grazie anche a elementi di bioispirazione, sin dagli anni Novanta. E ora si sta sviluppando un filone sociale in cui il robot coadiuva il lavoro umano, con le protesi e con la robotica collaborativa. Pensiamo a cosa questo può consentire in termini di riduzione di rischi sul lavoro. E allo sviluppo di reti neurali e machine learning per l’interpretazione delle immagini e il riconoscimento dei volti, da integrare in smartphone o tablet, oppure da applicare in medicina, in attività di diagnosi. L’automazione di un processo clinico è un ambito delicato, dove vigono protocolli basati su evidenze scientifiche e il primario rapporto medico-paziente. Questo tipo di applicazioni deve essere implementato e validato basandosi su sperimentazioni rigorose, trial, pareri etici. Un altro ambito è lo sviluppo di esoscheletri per assistere persone con disabilità causate da malattie neurodegenerative o lesioni neurospinali.

Che cosa le ha lasciato la direzione scientifica della Fondazione Don Gnocchi, dal punto di vista sia umano sia della ricerca?
Alla Fondazione Don Gnocchi sono legati forse i miei ricordi più emozionanti. I bambini in attesa di terapia, gli anziani, i disabili incontrati ogni giorno, anche per andare in laboratorio: è bello e importante vedere da vicino i destinatari di quello che facciamo. L’umanità del contatto con le persone fragili è impagabile, quando hai deciso di dedicare la vita a loro. Oggi, al Cnr, ho un obiettivo più generale, ma non voglio smettere di continuare a studiare né incontrare le persone per cui lavoro, oltre che quelle con cui lavoro. Alla Don Gnocchi, l’ultimo giorno, un bambino mi ha preso per mano e l’ho considerato un segnale, come se mi ricordasse il mio impegno. Se non ho fatto il medico è perché al liceo ho avuto un’insegnante di fisica fantastica con cui ci sentiamo ancora, ma ho amato e amo tanto anche la biologia e la letteratura, soprattutto quella francese dell’Ottocento, e la storia della scienza di quell’epoca. Spero che questa mia vocazione multidisciplinare sia utile ora al Cnr, che si basa proprio sulla trasversalità dei saperi.

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