giovedì 20 aprile 2017
Finalmente la commissione per le adozioni internazionali può riprendere a operare, dopo un triennio confuso. Le sue aperture alla stepchild adoption aprono però non pochi interrogativi
Laura Laera, nuova vicepresidente della Commissione adozioni internazionali

Laura Laera, nuova vicepresidente della Commissione adozioni internazionali

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Il mondo delle adozioni internazionali ricomincia da Laura Laera, presidente del Tribunale dei minori di Firenze. Mercoledì sera è arrivato il via libera del plenum del Csm per la messa "fuori ruolo" del magistrato, come richiesto dal Consiglio dei ministri. Una decisione che chiude di fatto un triennio segnato da tensioni e polemiche.

Un lungo periodo in cui le famiglie che hanno deciso di aprirsi all’accoglienza, sono state costrette a sopportare – oltre al complesso iter e ai costi ben noti – anche ritardi, inefficienze e disservizi vari. L’auspicio è che tutto questo possa finire presto. Una volta conclusi gli adempimenti formali e ufficializzata la nomina, Laura Laera andrà ad assumere la vicepresidenza della Commissione adozioni internazionali (la presidenza spetta, secondo quanto stabilito dalla legge, allo stesso presidente del Consiglio o a un ministro da lui delegato). Il percorso è già indicato nel comunicato emanato dal Csm: il presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, è destinata «a ricoprire l’incarico di vice presidente della commissione per le adozioni internazionali, su nomina della Presidenza del Consiglio dei Ministri».


La strada dovrebbe risultare agevole e, soprattutto molto rapida. Il governo per primo non vede l’ora di lasciarsi alle spalle l’inspiegabile gestione della vicepresidente uscente Silvia Della Monica, anche lei magistrato, il cui mandato triennale è scaduto lo scorso febbraio.


Ora le attenzioni delle famiglie adottive, delle associazioni e degli enti si concentrano su Laura Laera, milanese, 68 anni, moglie di Francesco Greco, procuratore capo di Milano. Dal 2012 Laera è presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, dopo tanti anni trascorsi al Tribunale per i minorenni di Milano. Vastissima esperienza specifica sulla giustizia minorile quindi, ma anche scelte e convinzioni su cui sospendere il giudizio. Le sue aperture alla stepchild adoption - espresse per esempio nel maggio 2016 nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla riforma della legge 184 - e alcune sentenze decise dal Tribunale da lei presieduto (il 9 marzo scorso riconosciute due adozioni concesse a due coppie di uomini omosessuali) aprono non pochi interrogativi.

Del resto le sue scelte risultano del tutti coerenti con quanto lei stessa aveva spiegato durante l’audizione parlamentare: «Capisco le posizioni di alcuni, che sono sulla difensiva rispetto alla famiglia legittima. È del tutto comprensibile, perché è un modello che abbiamo introiettato... Quello che si cerca di fare, o almeno che io cerco di fare, è di non avere un approccio ideologico. Il giudice deve lasciare da parte qualunque approccio ideologico sulla materia famiglia, deve affrontare la casistica che gli si presenta di volta in volta con un approccio laico, deve verificare nel caso concreto quale sia la normativa applicabile nel rispetto dell’interesse del minore».

A proposito del sistema italiano delle adozioni internazionali si era detta convinta che fosse un «sistema forte», costruito con la collaborazione di tutti e in cui ciascuno deve fare la sua parte. «È un cerchio, tagliare pezzi del quale credo possa risultare pericoloso». Vuole dire che enti e associazioni potranno trovare nella nuova vicepresidente un sostegno e uno stimolo? È l’auspicio di chi guarda al mondo delle adozioni come a una risorsa sociale e culturale – oltre che demografica – da non trascurare. A questo grande e complesso sistema, in cui le famiglie che si aprono all’accoglienza di un bambino senza genitori rappresentano la parte più rilevante, serve un rilancio deciso e un approccio davvero non ideologico. Il ruolo della Cai non è e non può essere quello di tentare esperimenti antropologici – la legge non lo prevede – ma dev’essere soprattutto finalizzato ad assicurare un’assistenza tecnica di prim’ordine alle famiglie e a promuovere la cultura dell’adozione valorizzando le diverse risorse esistenti.

Finisce un triennio confuso per le coppie più accoglienti d'Europa

Negli ultimi due decenni l’Italia è risultato il primo Paese d’Europa per numero di adozioni internazionali. Nel mondo, solo gli Stati Uniti si sono dimostrati più accoglienti di noi. Nonostante i costi elevati a carico delle famiglie e la complessità delle procedure, le adozioni sono aumentate fino al 2010, quando le famiglie italiane sono arrivare ad adottare quasi 5mila bambini in un anno. Poi la progressiva diminuzione, complice da una parte la crisi economica, i mutati atteggiamenti di molti dei Paesi di provenienza, e – almeno in parte – la battuta d’arresto nel funzionamento della Commissione adozioni internazionali in coincidenza con la nomina alla vicepresidenza, il 13 febbraio 2014, del magistrato Silvia Della Monica.


Come è noto, e come abbiamo scritto più volte, l’attività della Cai nell’ultimo triennio si è di fatto azzerata. La commissione non si è mai riunita, tranne una formale riunione di insediamento nel giugno 2014. Eppure, secondo quanto stabilito dalla legge, si tratta di un organo collegiale con compiti ben precisi, in cui le decisione del presidente o del suo vice, devono essere ratificate collegialmente. Questo in tre anni non è mai avvenuto.

Come non sono più stati pubblicati i report sulle adozioni, non sono stati più erogati alle famiglie adottive i contributi previsti dalla legge, è stata sospesa la linea telefonica dedicata alle famiglie e tanto altro ancora. La mancata convocazione della Commissione ha avuto conseguenze molto gravi sull’intero sistema delle adozioni internazionali.

L’organismo ha il compito fondamentale di sovraintendere sull’operato degli enti accreditati – nel nostro Paese sono 65, troppi, quasi il doppio rispetto agli Usa – controllando la regolarità delle adozioni, ma anche collaborando con le autorità dei Paesi di provenienza. Non solo, per avviare nuove adozioni e per offrire quindi più ampie possibilità alle famiglie che desiderano aprirsi all’accoglienza, la Cai deve promuovere d’intesa con il ministro degli Esteri nuove convenzioni con i Paesi esteri. Ma se la Commissione non si riunisce, non può svolgere nessuna di queste funzioni e quindi la tutela dei fondamentali diritti dei bambini adottati e delle loro famiglie è ad alto rischio. Difficoltosi, e in parte ancora tutti da chiarire, anche i rapporti tra la vicepresidenza uscente e alcuni degli enti accreditati con accuse pesantissime, anche penalmente rilevanti, che attendono però ancora di essere formalizzate.

Nel mirino in particolare l’Aibi (Associazione amici dei bambini), il maggiore ente italiano, di ispirazione cattolica, responsabile secondo una ben orchestrata campagna di stampa condotta da un settimanale, di "rubare bambini in Congo". Contro l’Aibi è stata avviata un’indagine amministrativa che però non è stata in grado di accertare alcuna irregolarità e, dopo alcuni mesi, è stata chiusa. Per quanto riguarda le altre accuse si è ancora in attesa dell’apertura di un’indagine formale.

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