«Cosa devono imparare oggi gli studenti di Medicina? L’empatia»
Il nuovo preside della facoltà di Medicina all’Università Cattolica di Roma Alessandro Sgambato ha le idee chiare sulla formazione che serve oggi: «Bisogna imparare a farsi carico della persona malata nella sua interezza». E forse è ora di ripensare i tempi per arrivare alla laurea

Studiare Medicina oggi, e prepararsi per indossare il camice bianco che definisce ancora un servizio alla persona nel suo momento di massima vulnerabilità, assume il valore di una condivisione umana che nessun’altra professione consente. Una missione, appunto. Cosa questo voglia dire in questo tempo ce lo spiega Alessandro Sgambato, da pochi mesi preside della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica, raccogliendo il testimone da Antonio Gasbarrini.
Professore, cosa significa per lei prendere il timone della facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università Cattolica?
È un onore e insieme una grande responsabilità. La responsabilità di custodire un’eredità culturale e scientifica di altissimo livello nella didattica, nella ricerca, nell’assistenza e nella solidarietà contribuendo alla formazione e alla crescita personale e umana dei nostri studenti, al progresso delle conoscenze in ambito bio-medico, alla qualità dell’assistenza garantita ai nostri pazienti e al benessere della comunità.
Cosa caratterizza oggi questo percorso di formazione in un ateneo come quello fondato da padre Gemelli?
Il percorso che offriamo ai nostri studenti, nel pieno rispetto del mandato del nostro fondatore, si pone l’obiettivo di formare medici e professionisti della salute che siano non solo competenti ma anche profondamente radicati nei valori di umanità, di attenzione e rispetto per la dignità della persona e della vita umana in ogni sua fase. Questo percorso si avvale della stretta collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli-Irccs che, condividendo con la facoltà gli stessi valori fondanti, ci aiuta a garantire ai nostri pazienti il meglio delle cure disponibili unito all’umanità e alla compassione che devono caratterizzare il nostro operato e agli studenti una formazione integrale che vada oltre le competenze tecniche e professionali e sia orientata allo spirito di servizio, di umanità e di solidarietà.
La sua nomina giunge in un momento di cambiamenti profondi degli studi per i futuri medici nelle altre facoltà. Perché la Cattolica non adotta il nuovo percorso di accesso? E come giudica l’innovazione del “semestre aperto”?
La Cattolica è rimasta fuori dal nuovo percorso di accesso a Medicina perché così prevede il decreto ministeriale che ha introdotto il semestre aperto. La riforma nasce dalla forte richiesta di famiglie e studenti di rivedere il test d’accesso a Medicina. Il “semestre aperto” è una delle possibili alternative che si potevano prendere in considerazione, il cui impatto dovrà essere valutato nel tempo. Noi siamo soddisfatti della nostra procedura di selezione e speriamo di poterla mantenere in futuro anche se prevediamo di uniformarla agli insegnamenti del semestre aperto, in modo da favorire gli studenti che vogliano affrontare entrambe le prove.
La carenza di medici e di personale sanitario in generale sta pesando sulla sanità italiana e sullo stesso diritto alle cure. Come se ne esce?
Serve una strategia nazionale che migliori le condizioni di lavoro e renda attrattive le professioni sanitarie. Il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini si sta impegnando per aumentare il numero dei posti disponibili a Medicina. Rimane da affrontare il problema di alcune specializzazioni, come la Medicina d’urgenza, che hanno peculiarità specifiche e vanno valorizzate come pure alcune professioni sanitarie, quali Infermieristica ma non solo. Forse i tempi sono maturi per cominciare a ragionare anche su una modifica sostanziale del percorso di studi in Medicina che possa accorciare il tempo oggi complessivamente richiesto per conseguire la laurea in Medicina e, successivamente, la Specializzazione.
Il livello dei medici che escono dalle facoltà italiane è considerato molto elevato, con picchi nella ricerca di frontiera. Poi però molti di loro se ne vanno all’estero. Come fermare questa emorragia di giovani?
Bisogna aumentare l’attrattività del nostro Sistema sanitario nazionale e dei nostri centri di ricerca se vogliamo riuscire a trattenere i nostri giovani e, auspicabilmente, anche ad attrarre talenti dall’estero. Per quanto riguarda la clinica, bisogna garantire opportunità di carriera e la possibilità di lavorare in serenità e in sicurezza. È sicuramente apprezzabile, da questo punto di vista, l’impegno del ministro della Salute Orazio Schillaci per la depenalizzazione dell’atto medico. Per quanto riguarda la ricerca, precarietà, bassi salari e limitate opportunità di carriera e di sviluppo delle proprie competenze sono i principali motivi che, uniti alla ridotta disponibilità di investimenti in ricerca, incentivano molti giovani all’espatrio.
Su cosa occorre investire oggi nella formazione che una facoltà di Medicina deve garantire? E su cosa punta la Cattolica?
È fondamentale investire in tre aree: professionalità, aggiornamento tecnologico e formazione etica. L’Università Cattolica punta a formare persone e professionisti che, educati ai valori del Vangelo e agli insegnamenti del nostro fondatore, siano capaci di vedere nel malato un fratello da aiutare e, nello stesso tempo, siano opportunamente preparati a gestire le sfide del futuro e l’evoluzione e le innovazioni in ambito assistenziale.
Cosa occorre per recuperare la centralità del rapporto tra medico e paziente, sin dagli anni degli studi, e poi in corsia e negli ambulatori?
Agli studenti insegniamo a prendersi cura dei pazienti non solo per curare la loro malattia ma per farsi carico della persona malata, nella sua interezza. Li educhiamo all’empatia, a comunicare con i pazienti, ad ascoltarli, a costruire fiducia e a dar loro speranza, perché questo è il cuore della professione. In corsia e negli ambulatori bisogna snellire i processi amministrativi, ridurre il carico burocratico talvolta eccessivo che sottrae tempo prezioso alla cura dei pazienti e contribuisce anche a spingere i giovani medici a cercare opportunità di lavoro all’estero. In questo la tecnologia può essere d’aiuto se contribuisce liberando tempo prezioso da dedicare alla relazione con il paziente.
Nel nuovo sistema di accesso a Medicina, premiato sinora dai numeri degli iscritti, vede la potenzialità di avvicinare i giovani a una professione che ha conosciuto un’erosione di vocazioni?
Io non parlerei di calo delle vocazioni per Medicina. È vero che con il nuovo modello del semestre aperto non si è registrato il boom paventato da alcuni ma il numero complessivo degli iscritti è in linea con quello degli anni precedenti e l’interesse rimane alto nel complesso. La riforma ha cambiato le modalità d’accesso e parte della percezione del calo può derivare da questo cambiamento e non trascuriamo che il calo demografico della fascia giovanile riduce il numero potenziale di candidati all’università e quindi anche a corsi a numero programmato come Medicina.
Il recente test di accesso alle facoltà infermieristiche ha segnato una flessione degli iscritti, addirittura inferiori ai posti disponibili. Perché le professioni sanitarie non sembrano attirare come un tempo? E cosa fare per renderle più attrattive?
I concorsi di ammissione ai corsi di laurea delle professioni sanitarie hanno confermato una tendenza, già emersa negli scorsi anni, di un ridotto interesse dei giovani per queste professioni. Guardando nel dettaglio, però, la situazione non è omogenea: alcune professioni, come Fisioterapia, continuano ad attrarre molti candidati. Questa diversa tendenza è legata soprattutto alle maggiori prospettive di lavoro autonomo offerto da alcune professioni laddove Infermieristica risente di fattori come stipendi poco competitivi, scarse possibilità di crescita professionale e una minore attrattività del lavoro nelle strutture pubbliche. Sicuramente, per far fronte a questa situazione e motivare i nostri giovani, è necessaria una programmazione più lungimirante e un’organizzazione del lavoro capace di attrarre e valorizzare tutte le professioni sanitarie con politiche concrete che riconoscano il valore e le competenze di chi lavora ogni giorno per garantire la qualità e la sostenibilità del nostro sistema sanitario. Sarà importante, inoltre, fare ben comprendere ai ragazzi le grandi opportunità, umane e professionali, che la professione infermieristica, al pari di quella medica, offre a chi la persegue con passione e impegno. La possibilità di aiutare il prossimo, di poter essere accanto alle persone nei momenti più fragili della loro vita, portando non solo competenza clinica ma anche ascolto, vicinanza e speranza è un dono prezioso dal valore inestimabile e in piena coerenza con i valori cristiani della solidarietà, del servizio e del prendersi cura del prossimo con dignità e rispetto. Dal punto di vista professionale, l’evoluzione della professione permetterà sempre di più agli infermieri di crescere in competenze specialistiche, di operare in contesti sempre più avanzati e di contribuire attivamente all’innovazione del sistema sanitario e a garantire la qualità dell’assistenza e la sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Non bisogna dimenticare, inoltre, che gli infermieri, come tutti gli altri laureati delle professioni sanitarie, possono, dopo la laurea triennale, accedere alla Laurea magistrale e, successivamente, alle Scuole di Dottorato aprendosi anche a prospettive di carriera in ambito accademico.
Il Paese dibatte sul tema delle scelte di “fine vita” e del diritto alle cure. Qual è il suo pensiero?
Si tratta di un tema complesso, da affrontare con estrema attenzione interrogandosi, innanzitutto, sul significato dell’espressione “scelte di fine vita”, spesso utilizzata con una certa disinvoltura. Il disegno di legge oggi in discussione al Senato sul fine vita, pur con tutti i suoi limiti, ha almeno il merito di riportare l’attenzione su questo punto cruciale. Il mio pensiero si fonda sul rispetto assoluto della vita umana e sulla convinzione che, se vogliamo garantirci scelte di fine vita pienamente libere e consapevoli, dobbiamo prima assicurare a tutti cure palliative accessibili, un accompagnamento empatico e spirituale, una vicinanza concreta e competente che restituisca senso e dignità anche alla fragilità e al dolore.
Non sei ancora abbonato alla newsletter settimanale gratuita di Avvenire su Vita, Bioetica e Cura? CLICCA QUI. Se già sei iscritto a proposte informative digitali di Avvenire invece CLICCA QUI.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






