«L’Intelligenza artificiale alleata della vita, se le persone non diventano dati»

Invitato dall’Istituto superiore di sanità, il cardinale Parolin ha esaminato nella sua “lectio magistralis” i possibili, grandi benefici degli algoritmi per la salute di tutti. Con alcune condizioni, determinanti. Eccole
October 17, 2025
«L’Intelligenza artificiale alleata della vita, se le persone non diventano dati»
Elaborazione grafica ICP
L’intelligenza artificiale come strumento al servizio dell’uomo e del bene comune. La platea all’Istituto superiore di sanità davanti alla quale il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, pronuncia la sua lectio magistralis “Etica dell’intelligenza artificiale” è quella delle grandi occasioni. Esponenti politici, vertici della sanità, ricercatori. Anche l’argomento è «delicato», visto che l’IA già di per sé è «una delle più grandi sfide tecnologiche e soprattutto antropologiche del nostro tempo, una sfida che ci interpella non solo come scienziati, politici o imprenditori, ma prima di tutto come esseri umani, custodi di una dignità intrinseca che nessuna macchina potrà mai replicare o sostituire».
Una sfida che, se applicata all’ambito della cura della persona, è ancora più fondamentale affrontare con attenzione. Ecco perché la preghiera del cardinale Parolin è che «il rapido sviluppo di forme di intelligenza artificiale non accresca le troppe disuguaglianze e ingiustizie già presenti nel mondo, ma contribuisca a porre fine a guerre e conflitti e ad alleviare molte forme di sofferenza che affliggono la famiglia umana». Come nel corso della rivoluzione industriale, infatti – ricorda citando la Rerum novarum di Leone XIII–, c’era il rischio di ridurre l’uomo a forza muscolare, da lavoro, « oggi il rischio è ridurlo a un insieme di dati da processare, a un profilo da analizzare, a un caso statistico da cui trarre conclusioni probabilistiche. La tentazione è quella di trattare le persone come cose per guadagno». La grande lezione della Rerum novarum, prosegue, «è che il fine ultimo di ogni progresso, di ogni sistema economico e di ogni tecnologia deve essere la persona umana nella sua interezza e nella sua sacralità».
Un discorso che vale ancor più quando l’IA viene applicata in medicina, grazie alla quale si aprono «enormi possibilità», per la facoltà di fare diagnosi personalizzate, per la possibilità di analizzare una mole di dati in poco tempo, come pure strumenti per ottimizzare la gestione delle risorse ospedaliere. «Ed è questa proprio l’intelligenza artificiale che vogliamo – la sottolineatura del segretario di Stato vaticano –, uno strumento potente al servizio della vita, un alleato dell’uomo nella lotta contro la malattia e la sofferenza».
Accanto a queste luci, però ci sono delle ombre, pericoli che richiedono «un discernimento etico rigoroso». Il primo, il più grande rischio, secondo Parolin, «è la disumanizzazione della cura, una disgregazione dell’atto medico, un’unica composizione esistenziale tra medico e paziente in una serie di calcoli e processi tecnici. La relazione medica è un’alleanza terapeutica, un patto di fiducia tra due persone, il medico con la sua scienza e la sua coscienza e il paziente con la sua fragilità e la sua speranza. Un algoritmo può fornire una diagnosi, ma non può offrire una parola di conforto». Perciò occorre lottare perché «la tecnologia rimanga un supporto al medico e non un sostituto della sua umanità». Anche perché altrimenti, conclude il segretario di Stato vaticano, «il rischio è che si sviluppino sistemi che sulla base di calcoli, costi-benefici suggeriscano di sospendere le cure, negare un trattamento, considerare una vita non degna di essere vissuta». Quindi per il segretario di Stato, per affrontare al meglio questa sfida «è necessario investire anche e soprattutto nella formazione etica di chi progetta» l’IA.
Un tema che verrà affrontato anche nel nuovo Centro nazionale intelligenza artificiale e tecnologie innovative per la salute (Iatis) dell’Iss, la cui nascita è stata annunciata ieri con l’obiettivo di costruire un ecosistema in cui l’innovazione medica e sanitaria sia intesa non solo come progresso tecnico ma anche come strumento di equità, sostenibilità e partecipazione. Il centro – spiega Rocco Bellantone, presidente dell’Istituto – ha lo scopo di «elaborare principi e raccomandazioni utili per orientare verso un uso giusto, trasparente e sicuro dell’IA, nel solco della riflessione maturata dall’Iss nel corso degli anni con la propria Unità di Bioetica e con la più recente istituzione del Gruppo di lavoro, aperto anche al contributo della Chiesa».
Non sei ancora abbonato alla newsletter settimanale gratuita di Avvenire su Vita, Bioetica e Cura? CLICCA QUI. Se già sei iscritto a proposte informative digitali di Avvenire invece CLICCA QUI.

© RIPRODUZIONE RISERVATA