Diagnosi, farmaci, cure: la proposta del Governo, le voci delle famiglie

L’iniziativa dei ministri di Salute e Famiglia per un approccio sicuro al trattamento dei minori cui si pensa di somministrare i bloccanti della pubertà. Il "pentimento" inglese indica la st
August 13, 2025
Diagnosi, farmaci, cure: la proposta del Governo, le voci delle famiglie
«Un primo passo per una normativa fondata su evidenze, prudenza e tutela dei diritti dei più giovani»: è il commento di Generazione D – l’associazione di famiglie con figli che vivono esperienze di incongruenza di genere – allo schema di disegno di legge approvato dal Governo il 4 agosto che prevede una serie di misure in materia di trattamento della disforia di genere e di farmaci bloccanti della pubertà.
La proposta «si inserisce in un contesto europeo di crescente attenzione critica nei confronti degli interventi medici in età precoce. Paesi come Svezia, Finlandia, Norvegia e Regno Unito, che per primi hanno offerto percorsi di transizione per minori, hanno progressivamente rivisto le loro prassi sanitarie, privilegiando oggi un approccio cauto, multidisciplinare e basato su una valutazione complessiva della salute mentale e fisica del minore». Per questo Generazione D accoglie «con favore l’avvio di un percorso parlamentare che affronta un tema tanto delicato quanto carente di riferimenti normativi e di dati aggiornati».
Il ddl “Disposizioni per l’appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere”, presentato dai ministri della Salute Orazio Schillaci e della Famiglia Eugenia Roccella, viene adottato per la tutela della salute dei minori e prevede l’attivazione di un registro sull’utilizzo degli ormoni e dei farmaci (come la triptorelina) tenuto a cura dell’Agenzia del farmaco (Aifa) che servirà per la prescrizione e la dispensazione dei farmaci, esclusivamente nella farmacia ospedaliera. I dati del registro saranno trasmessi ogni sei mesi al Ministero della Salute. Il rapporto all’Aifa su ciascun caso dovrà contenere le informazioni sul processo decisionale di prescrizione dei farmaci, inclusi gli esiti documentati di precedenti percorsi di supporto psicologico, eventuali altri disturbi diagnosticati, il monitoraggio clinico e il follow up. Un tavolo tecnico valuterà il rapporto semestrale dell’Aifa. In attesa dei protocolli attuativi sarà possibile procedere alla somministrazione dei farmaci solo con l’assenso di un Comitato etico pediatrico a valenza nazionale.
Importante in particolare la disposizione che prevede la somministrazione della triptorelina (farmaco per la cura del carcinoma prostatico avanzato e utilizzato nei casi di disforia in modalità off label, cioè al di fuori della prescrizione per la quale è stato approvato) e degli ormoni subordinata a una diagnosi da parte di una équipe multidisciplinare, dopo percorsi psicologici, psicoterapeutici ed eventualmente psichiatrici, soggetta a protocolli clinici che saranno adottati dal Ministero della Salute, oltre all’acquisizione del consenso informato espresso nelle modalità previste per i trattamenti sanitari sui minori. Il disegno di legge prevede anche ogni tre anni una relazione ministeriale al Parlamento.
La proposta varata dal Governo arriva un anno dopo l’istituzione del tavolo tecnico di approfondimento in materia di trattamento della disforia di genere con 29 esperti sulla scorta del decreto ministeriale firmato nel maggio 2024 da Schillaci e Roccella. Una iniziativa seguita all’allarme suscitato dall’ispezione del Ministero della Salute all’Ospedale Careggi di Firenze nel quale i trattamenti per disforia di genere con la somministrazione dei farmaci bloccanti della pubertà avveniva – secondo i risultati del rapporto – senza un adeguato accompagnamento psicologico e neuropsichiatrico. Il Ministero della Salute aveva anche interrogato il Comitato nazionale per la Bioetica, che il 22 novembre 2024 aveva pubblicato la risposta «sull’utilizzo della triptorelina nel caso di diagnosi di “disforia di genere”». Il Cnb aveva raccomandato che «le valutazioni cliniche siano multidisciplinari e la prescrizione della triptorelina avvenga esclusivamente a seguito della constatata inefficacia di un percorso psicoterapeutico/psicologico, ed eventualmente psichiatrico. Il processo decisionale deve essere sempre ampiamente documentato in tutti i suoi passaggi». Vista poi «l’incertezza sul rapporto rischi-benefici del blocco della pubertà con triptorelina» il Comitato auspicava che «le prescrizioni avvengano solo nell’ambito delle sperimentazioni promosse dal Ministero della Salute». Una linea ora sostanzialmente fatta propria dal Governo.
Opposti i commenti al disegno di legge. Di intenzione di «schedare i minori che intraprendono un percorso di affermazione di genere consegnando dai ultrasensibili all’Agenzia italiana del farmaco» parla Alessandro Zan, europarlamentare del Pd, a parere del quale il ddl sarebbe «un atto gravissimo, un attacco politico e ideologico contro le persone trans che alimenta stigma e discriminazione». Ma a sinistra non tutti la pensano come lui: «Io credo che ogni azione che rafforzi la salute delle ragazzine e dei ragazzini sia la benvenuta – commenta Luana Zanella, deputata di Alleanza Verdi Sinistra (Avs) –. La triptorelina è un farmaco molto discusso per i suoi possibili effetti collaterali di lungo periodo: perciò deve essere usato e regolamentato con prudenza nei casi di disforia di genere per i più piccoli, per salvaguardare la loro salute e le loro opportunità future, orientamento questo condiviso del resto a livello internazionale, specie da parte di Paesi nei quali erano stati adottati in precedenza in modo convinto e esteso protocolli che prevedevano la somministrazione della triptorelina. Avevo promosso insieme alla collega Marianna Madia una risoluzione in commissione Affari sociali che chiedeva un tavolo per definire le regole, iniziativa che poi è stata presa e che ha portato al disegno di legge che valuteremo con la massima attenzione e scrupolo».
Anche sul fronte delle famiglie i pareri sono divergenti. Nella sua nota Generazione D aggiunge che «come famiglie direttamente coinvolte, sappiamo quanto sia necessario uscire dalla semplificazione del dibattito pubblico, spesso polarizzato. Tra i nostri figli ci sono bambini e giovani adulti con storie molto diverse: chi ha intrapreso percorsi ormonali, chi ha desistito, chi ha scelto di detransizionare dopo aver ricevuto diagnosi e trattamenti che si sono poi rivelati inadeguati. Molti di questi giovani hanno manifestato ripensamenti solo dopo aver già intrapreso modificazioni corporee significative, sorprendendo gli stessi professionisti che avevano convalidato le diagnosi. Queste esperienze ci spingono a chiedere che venga garantita una maggiore tracciabilità degli interventi, un controllo più attento sull’appropriatezza delle diagnosi e, soprattutto, una maggiore libertà e indipendenza nella ricerca scientifica, oggi limitata da un clima culturale che tende a scoraggiare approcci critici e indagini longitudinali». Per questo l’associazione chiede «ai media, ai decisori politici e all’opinione pubblica di affrontare il tema con rigore, serietà e rispetto per la complessità delle situazioni in gioco, evitando strumentalizzazioni ideologiche e politiche. La discussione parlamentare in corso deve rappresentare un’occasione reale di confronto, aperta anche a chi porta testimonianze meno rappresentate, ma non per questo meno rilevanti».
Assai diversa la ricezione del ddl da parte dai genitori dell’associazione Vite Nuove, «rete nazionale di genitori cristiani con figli e figlie gender questioning o gender variant», che lanciano tre domande: «Per quale motivo le scelte terapeutiche e i farmaci assunti dai nostri figli devono essere schedati? Per quale motivo l’unico farmaco che può aiutarli deve essere reso così difficilmente accessibile? Perché il ministro della Salute deve riferire in parlamento i dati relativi ai nostri figli ogni 3 anni?».
L’associazione lamenta che «non siamo stati ascoltati nelle nostre esigenze di famiglie coinvolte e questo ci addolora» e critica il provvedimento governativo perché «propone tanti meccanismi di controllo ma non mette in campo nessuna risorsa a favore delle famiglie che si trovano ad affrontare questa condizione in mancanza di idonei supporti in campo medico, scolastico e sociale. Non prevede la creazione di luoghi o percorsi di sostegno medico o psicologico per i minori (che, se stanno male, devono ricoverarsi insieme a pazienti adulti), non prevede una formazione specifica per insegnanti e personale scolastico o per medici e personale infermieristico». I figli delle famiglie di Vite Nuove esprimono «un disagio interiore e del tutto personale a partire spesso da una fase evolutiva precoce fino alle tappe successive del loro cammino di crescita. Per il resto sono persone che svolgono una vita normale, si impegnano a scuola, nello sport e dove riescono anche in parrocchia».
Una riflessione, quest’ultima, che i genitori di Generazione D probabilmente sottoscriverebbero. Quella che conta ora è la definizione di una risposta adeguata al disagio in termini di salute psichica e fisica. E su questo il recente dietrofront dell’Inghilterra sulla base del documentatissimo Rapporto Cass, con la messa al bando dei trattamenti farmacologici per la disforia di genere poi confermato dall'Alta Corte dopo lo scandalo e la chiusura della Clinica Tavistock, sembra aver aperto una strada nuova che il Governo italiano ora sta proponendo di imboccare per non ripetere gli stessi errori registrati dalle autorità sanitarie inglesi.

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