martedì 29 novembre 2022
Per la Chiesa le tecnologie digitali offrono possibilità di connessione che rappresentano un’aggiunta e non operano una sostituzione rispetto ai valori e ai principî che essa esprime e testimonia
Adriano Fabris

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Anche all’interno del cantiere sinodale l’aspetto della comunicazione ha acquisito un ruolo importante. Non è certamente un caso. Proprio nei confronti degli sviluppi tecnologici, in particolare della comunicazione digitale, la Chiesa cattolica ha da tempo offerto indicazioni preziose. Dopo il decreto conciliare Inter mirifica (1963), sono del 2002 due importanti documenti del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali: Etica in Internet e La Chiesa e Internet. La Cei è sulla stessa scia. Nel 2002 viene celebrato il convegno su Parabole mediatiche. Del 2004, nell’ambito del Progetto culturale della Chiesa italiana, è il documento Comunicazione e missione. Direttorio per le comunicazioni sociali. Nel 2010 si svolge l’altro importante incontro sul tema «Testimoni digitali». La Chiesa, dunque, ha svolto una riflessione puntuale sul legame tra annuncio evangelico e sviluppi comunicativi. In che modo lo ha fatto? Se due sono le tipologie di rapporto tra la dimensione religiosa e gli ambienti digitali – quella delle religioni che fanno uso anche (ma non solo) della rete per la loro attività e quella delle religioni che sono unicamente (o quasi) in rete –, la modalità del cattolicesimo di essere online è certo la prima. Per la Chiesa le tecnologie digitali offrono possibilità di connessione che rappresentano un’aggiunta, non già che operano una sostituzione, rispetto ai valori e ai principî che essa esprime e testimonia. I contenuti della fede sono veicolati anche attraverso altre forme comunicative: la parola, la scrittura, la musica, le immagini. Ne consegue la necessità di far interagire correttamente tali contenuti con le modalità sempre nuove che gli ambienti digitali ci mettono a disposizione. Interazione: questo è il punto. Interazione consapevole. Internet ad esempio, così come ogni altra dimensione comunicativa, non è qualcosa di neutro, di neutrale. Incide, definisce e restringe le possibilità di espressione, orienta il comunicare in una certa direzione. Il compito dunque che abbiamo davanti è quello, fra l’altro, d’interagire con i valori incorporati in determinati programmi, o magari con quei pregiudizi insiti nella loro elaborazione. Si tratta di fare i conti con pericoli ben noti, come la tendenza alla polarizzazione che certe piattaforme comportano, o con la tendenza a chiudersi in piccoli gruppi che esse favoriscono. Se non si è consapevoli di questo, ciò che viene veicolato dalla comunicazione religiosa in rete, vale a dire l’annuncio della fede, rischia di essere distorto. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione potenziano la nostra capacità di comunicazione. Ma allo stesso tempo rischiano di asservirci alla loro logica. E dato che ciò che va comunicato dalla comunicazione religiosa è il messaggio di salvezza, non è possibile appiattirsi, per motivi di comodità o d’ingenuità, sui valori che esse comportano. Almeno per quanto riguarda l’annuncio cristiano, non è affatto vero che il mezzo è il messaggio.

Docente di Etica della Comunicazione

Presidente della Consulta nazionale di Filosofia

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