sabato 7 giugno 2025
Il cardinale Bo: «La Chiesa cattolica ha una missione sacra in questo Paese: diventare riferimento di riconciliazione, costruire pace in tempo di guerra»
Myanmar, agonia infinita. Aiutiamoli a ricominciare
COMMENTA E CONDIVIDI

Il terremoto ha aggravato le sofferenze della popolazione del Myanmar. Dove i cattolici sono circa 800mila in un Paese con più dell’80% della popolazione buddista e continuano ad essere fermento di vita in termini di accoglienza, collaborazione, di dialogo civile, culturale e interreligioso. Ce ne parla Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon, presidente della Conferenza episcopale del Myanmar (Cbcm) e della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc).

Eminenza, a più di due mesi dal terremoto, come la Chiesa sta aiutando le persone colpite?

La Chiesa è stata in prima linea nel tendere la mano alla popolazione. In molte località, anche le infrastrutture ecclesiali e i dintorni sono stati profondamente colpiti. Eppure, subito dopo il terremoto, la gente si è riversata nelle chiese per cercare sicurezza e riparo. I luoghi sacri, nonostante le ferite, hanno offerto un rifugio sicuro. La Chiesa fornisce cibo e alloggio negli spazi aperti. Nelle aree colpite come Mandalay, persino l’arcivescovo e l’intera curia hanno dormito all’aperto. Le religiose — molte delle quali hanno visto i loro conventi devastati dal sisma — si sono precipitate ad aiutare i più vulnerabili, anziani e disabili, portandoli in luoghi sicuri. Hanno anche prestato cure alle ferite e fornito beni primari. Ogni giorno, le religiose cercano di raggiungere anche le zone più isolate, offrendo cibo e assistenza sanitaria. La Caritas nazionale, KMSS, ha messo in atto un programma solido, supportato dai partner di Caritas Internationalis, focalizzato sull’alimentazione, sulla distribuzione di beni non alimentari e sull’assistenza medica. Migliaia di famiglie sono state già raggiunte. Abbiamo anche attivato MERCI (Myanmar Earthquake Response Church Initiative), di cui sono Vescovo referente, per garantire protezione e collegamento ai volontari e al personale ecclesiale. Si occupa anche di fare appelli a nome delle diocesi. È un’iniziativa che coinvolge tutti gli attori ecclesiali del Paese.

Il Myanmar era già duramente provato da una guerra civile sanguinosa e ora affronta questa nuova tribolazione, con il dramma degli sfollati, dei feriti e di comunità spezzate. Anche la Chiesa continua a subire prove. Cosa può dirci al riguardo?

Molti hanno osservato che il popolo del Myanmar sta vivendo un’inesauribile Via Crucis, fatta di crisi multilivello. E ora, purtroppo, anche la natura si è accanita. Spezzato, distrutto, ferito, insanguinato e in lacrime, il nostro popolo vive un cammino dolorosissimo. La Quaresima per noi non dura 40 giorni, si prolunga indefinitamente. Milioni sono sfollati, milioni vivono nell’insicurezza alimentare. Migliaia di giovani fuggono e affrontano pericoli per cercare mezzi di sussistenza. La guerra infuria. La pace sembra un sogno lontano. Il terremoto ha sepolto sotto le macerie migliaia di persone vive— scomparse in un istante, senza pianto, senza saluto, senza nome. Nessun abbraccio finale, nessun addio bagnato di lacrime. Solo silenzio. Un silenzio che grida. Il Myanmar è diventato come il biblico Giobbe, con una domanda assillante: perché soffrono gli innocenti? In mezzo a tutto questo, la Chiesa conosce il suo ruolo: generare speranza. Sì, anche religiosi, sacerdoti, catechisti e operatori pastorali sono feriti. Molte chiese sono state danneggiate. Ma la Chiesa si è rivelata un “guaritore ferito”, sapendo che anche il Cristo risorto è apparso con le mani ferite. La nostra missione non è restare a piangere, ma uscire dalla paura per soccorrere i fratelli e sorelle feriti per strada o nei campi di sfollati.

Papa Francesco invitava continuamente a pregare per il Myanmar. Papa Leone XIV ha subito detto che è pronto a ogni sforzo per la pace. Eminenza, quale messaggio vuole dare alla comunità internazionale, in particolare alla Chiesa e alle comunità italiane?

Papa Francesco non ha mai distolto lo sguardo dall’agonia del Myanmar ripetendo che la pace è possibile e che è l’unica via in questo Paese. Durante la sua storica visita, non ha solo pregato per la pace - ha affidato alla Chiesa in Myanmar una missione sacra: diventare punto di riferimento di riconciliazione, costruire pace in un tempo di guerra. Gli saremo sempre grati. Papa Leone XIV, fin dalle sue prime parole, ha auspicato una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante, ribadendo che le armi possono e devono essere messe a tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano soltanto. Dopo il conclave, gli ho chiesto di non dimenticarci e gli ho espresso la speranza che anche lui possa visitare presto il Myanmar. Sono entusiasta che il nostro nuovo Papa abbia iniziato a costruire il pellegrinaggio per la pace globale. Ci auguriamo che possa essere davvero un faro di pace per il mondo intero. Non dobbiamo permettere che nel mondo vi sia un’altra guerra mondiale, sostenuta dalle ultime tecnologie e dall’intelligenza artificiale. Mentre Papa Francesco ha fatto della misericordia il cardine della sua missione, sono sicuro che la pace nel mondo sarà l’impegno prioritario del nuovo Papa, rivolto anche a fermare il commercio globale delle armi. La pace è l’unica via. Sono grato a Papa Leone per aver intrapreso questa strada con grande determinazione.

Pubblichiamo questo estratto dell'intervista al Cardinale Bo. Potete trovare l'integrale nella pagina Speciale sui progetti internazionali 8x1000 pubblicata sabato 7 giugno 2025. Approfondimenti sui progetti: https://sicsp.chiesacattolica.it

Di seguito un approfondimento sulla situazione in Myanmar a cura di Livio Maggi, del Pime (Pontificio Istituto missioni estere).

Video


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: