domenica 13 maggio 2018
Due mesi di vita, due chilogrammi di peso. Nudo, con la pelle tirata sulle ossa dello sterno, le clavicole sporgenti e puntute. Lo sguardo dei suoi occhi densi e scuri è di quelli che, nonostante i pochi mesi di vita, ti fanno capire che è già pienamente consapevole della sua totale precarietà appesa tra la vita e la morte. Qualcuno, molto probabilmente un infermiere, lo ha deposto in un catino di plastica colore lilla scuro, quasi sicuramente per pesare la sua fame.
La fotografia mi fa pensare ai bambini del Biafra. Quando la Nigeria, sul finire degli anni Sessanta del Novecento, conobbe gli orrori di una guerra civile che provocò lo sterminio per fame e malattia di un milione di persone. Soprattutto di bimbi. Ma la foto che ritrae – femminuccia? maschietto? – quel corpicino emaciato di soli due mesi, tutto pelle e ossa, è a colori e difficilmente può appartenere a quei giorni lontani di 50 anni fa, quando il mondo era riprodotto soprattutto in bianco e nero.
Allora penso alle ripetute carestie che hanno in passato, e ancora oggi accade, flagellato il Corno d'Africa. Vittime storiche, la grande Etiopia e la sempre malmessa Somalia. Terre fertili di acqua dei possenti fiumi Nilo e Shebeli, ma tanto fragili di fronte all'inesorabilità di un clima che può trasformarsi in assassino. Come avvenne in Etiopia a metà anni Ottanta, quando disastri climatici, siccità e anche lotte politiche provocarono una crisi agricolo-alimentare che portò un flagello umanitario capace di fare un milione di vittime. Sempre bimbi.
Qualche settimana fa è stato diffuso un nuovo allarmante "Rapporto globale sulle crisi alimentari nel mondo". Circa 124 milioni di persone in 51 Paesi sono state colpite da una grave insicurezza alimentare nel 2017: 11 milioni in più rispetto all'anno precedente. La situazione globale peggiora, anche con l'acuirsi di conflitti e instabilità politica. L'algoritmo della morte per fame porta sempre gli stessi nomi e percorre le strade di sempre: Somalia, Repubblica democratica del Congo, Nigeria nord-orientale, Somalia, Sud Sudan, Kenya orientale, Ciad, Burkina-Faso, Niger, Myanmar...
Ma c'è una nazione "nuova" – anche se era già compresa nella lista dei Paesi più poveri al mondo redatta dalle Nazioni Unite – in cui la crisi umanitaria-alimentare è considerata, attualmente, la peggiore al mondo: lo Yemen. E la crisi è tanto grave quanto è colpevole il silenzio che grava su uno dei più barbari conflitti della storia recente, che da tre anni si accanisce su un popolo inerme. La vita di almeno 22 milioni di yemeniti, l'80% della popolazione, è prigioniera della guerra tra la coalizione di Paesi arabi guidata dall'Arabia Saudita e sostenuta dagli Stati Uniti e i ribelli Houthi. Ed è dipendente dagli aiuti umanitari.
Bombardamenti aerei quotidiani della coalizione e, secondo la stampa americana, anche con fosforo proibito, ostacolano però l'assistenza umanitaria e non risparmiano scuole, pozzi, abitazioni civili, ospedali, ambulanze. I feriti vengono trasportati a dorso d'asino. Ecco da dove veniva quel corpicino di due mesi di vita per due chili di peso. Da una guerra che ha già ucciso 6mila persone, fatto decine di migliaia di feriti e provocato una epidemia di colera con un milione di casi registrati e già parecchi morti.
Nella tinozza lilla, in questo momento, è già stato deposto un altro bimbo di questo nostro Biafra a "colori", cacciato nell'oscurità del silenzio.
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