giovedì 24 giugno 2021
Dopo l'anticipazione del “Corriere” (22/6), ieri tutti i quotidiani hanno dedicato ampio spazio alla “nota verbale” della Santa Sede sul decreto Zan. Con quale tono? Ammettiamolo: è stata data la parola a voci variamente intonate e sono stati coinvolti i registi del Concordato del 1984: oltre a Carlo Cardia (“Avvenire”), il socialista Gennaro Acquaviva (“Corriere”) che ammette: «Penso che la Santa Sede abbia le sue ragioni»; e il presidente della Commissione di allora, Francesco Margiotta Broglio (“Repubblica” e “Stampa”). Il “Corriere” dà spazio al giurista Enzo Cannizzaro, che trova ragionevole la richiesta di «più chiarimenti, altrimenti anche un'omelia può essere intesa come violazione della legge» e ad Alessandro Zan, che sostiene l'esatto contrario: «Non è a rischio la libertà di pensiero di nessuna persona», più o meno quanto ribadito da Ezio Mauro (“Repubblica”: «Lo spazio intellettuale e religioso per esprimere opzioni culturali diverse (...) è garantito». Ovunque è presente Fedez con la vecchia fanfaluca dei «5 miliardi di euro di tasse non pagate (dalla Chiesa, ndr) dal 2005 a oggi per le strutture a fini commerciali».
Fin qui le opinioni, più o meno condivisibili o contestabili. Però c'è anche una falsità e bella grossa, in cui purtroppo è scivolata una firma autorevole come Marcello Sorgi (“Stampa”) quando, parlando degli Accordi del 1984, afferma che «caricarono il costo degli stipendi dei preti sul bilancio statale italiano». È vero il contrario. Fino al 1984 i preti in cura d'anime hanno ricevuto dallo Stato l'assegno di congrua, quello sì una sorta di “stipendio statale” da cui il nuovo Concordato ci liberò. La congrua poi ha origini remote. Nasce non dal Concordato del '29 ma dalle “leggi eversive” del 1866-67, quando fu costituito il Fondo per il culto (male amministrato, si esaurì rapidamente) a cui attingere per garantire una remunerazione ai parroci, ridotti alla stregua di “funzionari statali”. Un'assurdità a cui finalmente fu posto rimedio nel 1984.
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