mercoledì 27 febbraio 2008
Essere tradotto all'estero è, per uno scrittore, un traguardo lungamente sospirato, il segno della definitiva consacrazione della fama. Qualche anno fa Franco Zangrilli ha pubblicato Il mitico muro, lettere di scrittori italiani a Lev Verscinin, l'italianista che per decenni è stato il tramite per la diffusione della letteratura italiana oltre cortina. Bisogna vedere le blandizie, le sperticate lodi con cui i nostri scrittori cercano di ingraziarsi il potente intermediario, per la soddisfazione di vedere i propri libri in una lingua che non si conosce: Italo Calvino è prodigo di complimenti, salvo irrigidirsi quando l'eventuale traduttore propone alcuni tagli, pronto comunque a scendere a patti («Se fossero dei tagli minimi, indicami il numero delle pagine dove ci sarebbero da fare dei tagli, e quante righe dovrebbero cadere, e deciderò»). Anche Primo Levi è scodinzolante, per non parlare di Vittorini, Bonaviri, Tonino Guerra (Ci sono anche due lettere molto dignitose del nostro Bonura).
Ci si può immaginare la sorpresa di uno scrittore che, ricevendo la traduzione di un proprio romanzo in una lingua che può controllare, si accorge che il traduttore ha infilato nelle pagine un personaggio che non era uscito dalla sua penna (da suo computer). È questo il tema del nuovo romanzo di Alberto Ongaro, La versione spagnola, (Piemme, Casale Monferrato 2007, pagine 256, euro 14,50). Che fare in questi casi? Correre subito dall'editore spagnolo e chiedere spiegazioni sarebbe la via più spiccia, ma Marco Senise intuisce che il mistero è più contorto e, scavando nella memoria, risale a una strana bambina che, tanti anni prima, gli era apparsa dall'alto di un muro di cinta a Venezia, con uno strano pupazzo imbevuto d'acqua con tendenze suicide. Compie un viaggio nei luoghi dell'infanzia ottenendo alcuni indizi e poi, finalmente a Madrid, scopre che la misteriosa traduttrice in realtà l'ha seguito di libro in libro, elaborando una complicata vendetta autodistruttiva.
Ongaro, con movenze giallistiche e scrittura funzionale, mette a tema una questione solitamente trascurata, e cioè le conseguenze esistenziali di chi, inopinatamente, scopre che la sua vita è stata vampirizzata in un romanzo. Gli autori se la cavano con una frase del tipo «ogni riferimento a fatti o personaggi esistenti è del tutto casuale», ma la realtà è spesso un'altra. Sia pure con l'intervento della fantasia, il più delle volte il riferimento è tutt'altro che casuale, e chi vi si riconosce può restarne ferito.
Un caso clamoroso è quello di Ibsen che per la Nora di Casa di Bambola, si ispirò a Laura Kieler, una ragazza conosciuta quando lo scrittore era giovane commesso in una farmacia, e che poi lo avvicinò per raccontargli le proprie disavventure coniugali. Ibsen utilizzò il personaggio per il suo dramma, rifiutandosi di aiutare la Kieler che, respinta dal marito, finì in clinica psichiatrica. Il caso descritto da Ongaro è analogo e opposto: nella Versione spagnola è il personaggio reale a mettere in scacco lo scrittore, insinuandosi nelle sue pagine.
Originale nei contenuti, il romanzo di Ongaro (SuperCampiello 1998 con La partita) è un lavoro di eccellente professionalità, con un retrogusto dolente sulle conseguenze impensabili di atti che avevamo compiuto quasi per distrazione.
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