domenica 23 settembre 2012
La satira è ormai un genere in estinzione. Su il Manifesto (martedì 18) il vignettista Vauro Senesi ha disegnato il ministro del lavoro Elsa Fornero che, in attesa di una telefonata di Marchionne, l'Ad della Fiat, siede accanto a un telefono, ma vestita come una "squillo". Alla satira possono essere concesse molte cose, ma come in ogni altra attività, entro i limiti del rispetto della dignità altrui. Ovviamente il ministro si è sentito offeso soprattutto come donna e ha accusato l'autore di volgare maschilismo. Giustissimo. Vauro ha così reagito (chiedo scusa): «Me ne frego, io le vignette le faccio per i lettori», che non vuol dire niente. Casi di questo genere sono ormai frequenti e spesso ancora più volgari, offensivi e addirittura blasfemi. Morale della favola: Vauro dimostra che l'attuale eccesso di satira, prodotto da uno scadente modo di fare politica, induce alla violenza grafica e verbale creduta innocua e spinge a debordare nel volgare (in tv basta una parolaccia per motivare gli applausi del pubblico presente con funzione di claque). Soprattutto, però, provoca in autori e pubblico una mancanza di comprensione della dignità non solo dell'altro, ma anche di se stessi. Così la volgarità degrada la satira e il… "satiro". Del resto mentre sul Manifesto si produceva in una replica ai danni di Monti (giovedì 20), al Fatto quotidiano Vauro ammetteva (mercoledì 19): «Anch'io sono un vignettista squillo». QUEI 25 MILA ELEFANTI…Anche a Furio Colombo, lasciato l'aplomb, piace la satira: quella, però, su temi che non dovrebbero suscitarla. Per esempio la tragica vicenda di Eluana, che un film discutibile ha rievocato per «smentire il Vaticano» (che non c'entra niente) come al Fatto ha scritto un lettore e che non ha vinto alcun Leone. Al lettore Colombo risponde (domenica 16) ricordando che «non ti puoi aspettare un premio in un Paese che vive dentro le mura vaticane» e in cui «è di rigore l'abito da chiesa». Come faranno 60 milioni di Italiani, tutti in abito talare (che nemmeno i preti portano quasi più) a stare in meno di mezzo chilometro quadrato e a dedicarsi, come scrive Corrado Zunino su La Repubblica (domenica 16), nelle «lussuose botteghe della Città del Vaticano», allo shopping di pissidi, calici, ampolline, croci, icone tutti di avorio non lo spiegano Colombo né Zunino. Il quale riferisce, però, che il giornalista americano Bryan Christy ha viaggiato «oltre due anni nell'Africa occidentale e nel Sud Est asiatico» e «ha certificato come dietro il genocidio degli elefanti africani – 25mila uccisi, è la stima prudente per il 2011 – ci sia la mano pesante della Chiesa romana». Questa «favorisce il traffico illecito di avorio» reso possibile dalla «strage degli elefanti», cui pare di dover supporre che, invece di evangelizzare, si dedichino bande armate di missionari in talare mimetica. La cosa sarebbe confermata da un servizio fotografico del National Geographic: «Il traffico legale e illegale d'avorio» della Chiesa – è scritto su Repubblica – «serve a sostenere la devozione religiosa, soprattutto cristiana» e l'avorio è «un componente essenziale degli oggetti sacri». La prova? «Un crocefisso d'avorio nello studio di un monsignore di una diocesi filippina, e il turibolo d'oro e avorio donato l'anno scorso al Papa dal Presidente del Libano». Chissà quanti elefanti sono stati uccisi dai cristiani per ricavarne l'avorio necessario!
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