mercoledì 15 settembre 2004
Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. Credo che molti dei miei lettori conoscano il romanzo Il giardino dei Finzi Contini che Giorgio Bassani pubblicò nel 1962 e che divenne nel 1970 un film di Vittorio De Sica. È da quelle pagine che ho tratto oggi la citazione per la nostra riflessione. Davanti agli occhi abbiamo idealmente Maria Addolorata, la figura che ha conquistato per secoli artisti e devoti e che la liturgia odierna ci propone. Meditare sul dolore è facile e arduo al tempo stesso. È facile se si pensa solo all'immensa letteratura che si è alimentata di questo soggetto, o alla stessa spiritualità che ha intessuto su di esso consolazioni e speranza. È, però, arduo meditare sul dolore quando lo si sperimenta nella carne o nello spirito. Hanno un bel dire gli scrittori, come Saul Bellow, che «la sofferenza è l'unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito». Quando sei travolto da quella bufera, puoi anche accecarti e piombare nel vuoto, nell'urlo quasi blasfemo: il libro di Giobbe ne è una grandiosa e terribile testimonianza. Tuttavia, come ci ricorda Bassani, quella via stretta e oscura è la lezione assolutamente necessaria per «capire veramente come stanno le cose di questo mondo», per liberarci dai luoghi comuni, per scoprire i valori che permangono. Anche Cristo dichiara: «Bisogna che il Figlio dell'uomo soffra molto" venga ucciso"» (Marco 8, 31). Ma la sua frase non si spegne sulla morte perché finisce con una parola di luce come meta estrema: «" e risorga!».
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