domenica 13 dicembre 2009
Fa piacere vedere i quotidiani "laici" dedicare intere pagine al convegno su "Dio oggi": c'è stata, però, qualche laica stranezza. Per esempio: con 492 anni di ritardo, un teologo di moda, Vito Mancuso, sembra riscoprire Martin Lutero e accodarsi a lui. Nell'attuale rarefazione della fede, egli scrive (La Repubblica, giovedì 10), che «la teologia, deve intraprendere una lotta all'interno e persino contro la Chiesa e la sua dottrina», abbattere «il nesso strettissimo chiesa-magistero-teologia» e sostituire il principio di autorità con quello di «autenticità». Mancuso, però, va oltre il Riformatore e il suo "libero esame": «Un'affermazione dottrinale non sarà vera perché corrisponde a qualche versetto biblico o a qualche dogma, ma perché non contraddice la vita giusta e buona», vale a dire quella che «ragiona in base alla logica "vero o falso"», come i quiz dei settimanali. Rispetto a Lutero una innovazione, che però non dice quale teologo, senza Chiesa, potrà dirsi «autentico» e dirci qual è «la vita buona e giusta». Per esempio, in tema di «morale sessuale», se bisogna «dissociare la fede da una biologia altrettanto millenaria e sorpassata». Concetti e stile un po' alla Dan Brown, che dicono niente, a meno che non postulino un "libero esame" anche in questo campo. Non sarebbe, però, una novità: il libero sesso in libero Stato è già praticato.

LA NUOVA INQUISIZIONE
«La dimensione pubblica è definita dalla laicità» (La Stampa, venerdì 11): questo, che per Gian Enrico Rusconi dovrebbe essere un postulato, sembra piuttosto un dogma del fondamentalismo laicista utile, in politica, a mettere fuori gioco i cattolici. Rusconi si sente vittima («Dobbiamo giustificarci di essere laici?») e rivendica: «Laico è il cittadino che esercita il diritto di decidere autonomamente della propria condotta morale». Quell'«autonomamente» mira chiaramente a escludere i cattolici da ogni laicità, perché la loro «condotta morale» sarebbe conseguenza di una convinzione di fede e imposta dall'alto. Anche i "laici" si ispirano alle loro convinzioni ideali (liberalismo, socialismo, ateismo)? Ancora: «I cattolici-clericali [una sottospecie?] si riservano di condizionare la loro lealtà allo Stato democratico quando legifera in modo contrario ai loro convincimenti». Anche i laici fanno lo stesso nella medesima situazione, perché accettano il criterio della maggioranza solo quando consacra (Rusconi mi scuserà) i loro punti di vista. Altrimenti è una perenne lamentazione. Come se la ricerca del bene comune (a questo serve la democrazia) significasse che ciascuno fa quello che gli pare, anche quando ci sono di mezzo gli altri: i concepiti, i malati gravi, la famiglia. Dunque «la dimensione pubblica» laica è piuttosto definita dalla discriminazione dei cattolici. O questi saranno chiamati a un esame di ammissione, istituito soltanto per la loro specie, circa le ragioni delle proprie convinzioni personali in materia di politica e vita sociale? Prepariamoci a una inquisizione laica con relativo Index Opinionium Prohibitarum (o, più precisamente, Catholicarum). Dovremo scusarci di essere cattolici?
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