martedì 23 dicembre 2003
Come potrà mai essere vera la verità religiosa se quello che insegna è così distante dalla vita? Michail A. Bakunin (1814-1876) è una figura mitica dell'anarchismo: ritrovo questa sua citazione in un articolo che sto leggendo. In esso mi si spiega anche che la parola russa pravda, "verità", significa pure "giustizia", per cui teoria e prassi, pensiero e azione dovrebbero coesistere, al contrario di quanto spesso accade. La frase sferzante del celebre rivoluzionario russo, motivata anche da una esperienza della religiosità solo sacrale, disincarnata e rituale, ci fa comprendere l'altro e ben più famoso e altrettanto riduttivo asserto di Marx nella sua Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico: «La religione è l'oppio dei popoli». I suoi incensi, il suo contemplare il cielo, le sue consolazioni funzionerebbero come un potente sedativo contro le ingiustizie, un narcotico prezioso per chi deve gestire il dominio sugli altri e il loro sfruttamento.
Sappiamo, invece, quanto la vera religiosità - soprattutto quella cristiana - sia non solo culto ma vita. Anzi, l'incarnazione è il mistero centrale di una fede che vuole trasfigurare la storia insediandovi la pace, la giustizia, l'amore. Un altro russo, il poeta Fëdor I. Tjutcev (1803-1873), che soggiornò come diplomatico anche a Torino, esclamava: «Schiacciato dal peso della croce e vestito di stracci,/ il Re del cielo ti ha attraversata tutta,/ o terra!». Cristo, infatti, entra nel groviglio delle ingiustizie, combatte le ipocrisie, scende fino nel grembo oscuro del male e sale su un patibolo come vittima. La vera religione è, dunque, carne e sangue; la fede è lotta contro ogni male. La meta ultima, che è trascendente, non ci deve impedire di camminare nelle tappe penultime della storia con coerenza, costanza e generosità. Verità è anche giustizia, proprio come nel vocabolo pravda.
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