giovedì 30 aprile 2020
Per una persona detenuta il giorno più bello dovrebbe essere quello della scarcerazione. Oggi, complice anche la grave situazione provocata dalla pandemia, si sono riaccese le polemiche sulle scarcerazioni e sulle misure alternative alla detenzione. Ma spesso ci si dimentica che, quando si esce dalla prigione, inizia un percorso che può essere anche più difficile: rientrare in faiglia, cercare un lavoro, affrontare una società per cui sei ormai "etichettato". Il recupero e l'inclusione dei carcerati e degli ex carcerati è un aspetto fondamentale dell'amministrazione della giustizia.
Recuperare alla società chi è stato in galera è molto più di un atto di solidarietà. È un principio sancito dall'articolo 27 della Costituzione. Elemento fondamentale per rompere l'isolamento e offrire la possibilità di ricominciare una nuova vita è la formazione al lavoro che, oltre a essere una garanzia per il proprio sostentamento materiale, diventa anche un'occasione di formazione in senso ampio, includendo un percorso di rieducazione a valori come la legalità, l'impegno e il sacrificio. Il ruolo degli educatori e degli psicologi all'interno degli istituti penitenziari diventa perciò molto importante nel risvegliare le energie positive e creative in persone doppiamente segnate dall'esperienza delle devianza: per la scelta dell'illegalità che le ha portate a delinquere e per l'esperienza del carcere, spesso ancora più traumatica. Il primo passo consiste nella rottura dell'isolamento sociale e morale in cui viene a trovarsi il carcerato, per questo diventa importante creare occasioni di relazione con il resto della società, sia attraverso il lavoro sia organizzando incontri. Il livello di istruzione, con i deficit di tipo scolastico, formativo e professionale, è un'ulteriore difficoltà di accesso nel mondo del lavoro. Senza dimenticare l'età non più giovane della maggioranza delle persone recluse, che costituisce ovviamente un ostacolo aggiuntivo. A 45-50 anni è difficile trovare un lavoro, per un ex detenuto lo è ancora di più.
Nella società vi sono pregiudizi rispetto a coloro che hanno compiuto reati: è difficile perdonare, riconoscere che colui che è stato detenuto possa rifarsi una vita. Lo stereotipo associa la sua figura all'impossibilità di cambiamento. Ma tutti meritano, a mio avviso, una seconda possibilità. Evitiamo di costruire muri tra le cosiddette persone "per bene" e gli ex carcerati, perché la sola conseguenza è che chi è stato in prigione finisce per tornarci...
Padre stimmatino, cappellano Casa circondariale maschile "Nuovo Complesso" di Rebibbia
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