sabato 30 luglio 2016
Dopo molti anni di oblìo, sotto la spinta di fenomeni epocali come finanziarizzazione e globalizzazione dell'economia, la questione del lavoro si riprende la scena della politica economica in tutto il mondo avanzato. È una buona notizia, perché indica una nuova "consapevolezza" nelle classi dirigenti e nell'opinione pubblica occidentale della centralità della produzione rispetto alla speculazione finanziaria, e del fattore umano rispetto al capitale.Nelle ultime ore, un segnale molto forte in questa direzione è arrivato dal discorso con cui Hillary Clinton ha chiuso a Philadelphia la convention democratica, accettando la nomination alla presidenza degli Stati Uniti. Al di là di parole d'ordine non troppo originali e di prevedibili ostentazioni di umanità e di unità familiare, la Clinton ha dedicato il messaggio più forte del suo programma elettorale al lavoro. «Non mi soddisfa lo status quo, da presidente mi batterò per creare più posti di lavoro, meglio pagati, perché tutti abbiano le opportunità che meritano», ha dichiarato la candidata democratica, promettendo nei suoi primi 100 giorni «il più grande programma di investimenti per l'occupazione mai varato dalla seconda guerra mondiale». Non è un caso, naturalmente: Hillary Clinton "sente la voce" della provincia americana delle fabbriche chiuse per delocalizzazione (decisiva per la vittoria finale), che chiede disperatamente investimenti e strategie per ricostruire opportunità di lavoro.Il lavoro è al centro dell'agenda politica anche nella vecchia Europa, dove è convinzione pressoché unanime che l'inizio della corsa tedesca sia stata figlia soprattutto delle riforme su lavoro e produttività realizzate dal Governo Schröder nei primi anni Duemila. Mentre gli altri due grandi Paesi dell'Unione, Francia e Italia, si trovano ad affrontare ancora tassi di disoccupazione e di inattività elevati. In quest'ottica sono positivi i dati Istat di ieri, perché fugano il timore che il rilevante aumento dell'occupazione dello scorso anno in Italia fosse stato soltanto una "bolla" legata a sgravi contributivi molto favorevoli. Non è così: l'occupazione continua a crescere, seppur lentamente, e prosegue la riduzione del numero di inattivi. È un buon segnale anche rispetto alla fragile ripartenza italiana, legata a doppio filo alla crescita dell'occupazione in virtù di quel Jobs Act che rappresenta la riforma del Governo Renzi più apprezzata a livello internazionale. Ma anche in Italia la questione lavoro, evidentemente, non è affatto chiusa.
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