sabato 7 luglio 2012
«Non possono esistere diritti e dirittucci»: perentoria ieri ("Unità", p. 18) Ilda Curti, «assessore all'urbanistica del Comune di Torino»: i diritti sono diritti, e nella realtà non accettano diminuzione. La realtà? Qui il busillis… Gli orizzonti della Curti si allargano oltre strade e immobili e lei scrive che vuole «il matrimonio», e anche «tra persone dello stesso sesso». Non si accontenta dell'organizzazione di una tutela dei diritti di chi convive che, del resto, per alcuni versi, è già riconosciuta. No! Vuole il matrimonio! Già: "matri/monio". Ma quel "matri" dice da solo che nell'idea è inclusa anche la maternità, quindi la possibilità della procreazione. E questa – pare si sappia, vero? – esige una qualche complementarità sessuale e organica, e una qualche "consummazione" (due "emme") che unifica due diversità in una nuova realtà personale distinta. Perché dunque pretendere proprio «il matrimonio»? Perché dargli nel linguaggio corrente mutato e persino nella pretesa di legge un significato che non gli corrisponde? Riconoscere la diversità nei diversi ambiti non è declassare i diritti a «dirittucci», ma semplicemente rispettare la realtà che sta lì: da sempre! Parità di diritti, sì, non confusione di parole e di differenze che resistono agli equivoci linguistici, e anche giuridici. Insomma: siamo alle solite! Qualcuno muta il suo proprio vocabolario e poi pretende che gli altri si adeguino, anche se non la pensano come lui, anche se – trattandosi di fare una legge – desiderano ragionare e decidere con vocabolario e coscienza in proprio, disposti ovviamente a riconoscersi minoranza, ma solo a conti fatti e in Parlamento, non a priori o perché l'assessora all'urbanistica si è arrabbiata su "L'Unità". Forse anche questo è un diritto, vero?
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